
CULTO
Niccolò Pellizzon
Coconino Press, 224 pagine a colori, 37 euro
FASTWALKERS
Ilan Manouach
D Editore, 512 pagine, 69,69 euro
(…) C’è tuttavia una differenza radicale tra Culto e Fastwalkers: i disegni del primo sono realizzati dalla mano di un autore, quelli del secondo, da un insieme di algoritmi. Si riconosce il gesto, la manualità di Pellizzon, resa ancora più evidente dalla presenza di quei disegni in cui viene modificata, come quelli sgranati in una serie di pixel. E se per alcune tavole l’autore avesse usato un’A.I., cambierebbe poco: la presenza dell’autore traspare dal disegno, dall’estetica di Culto, cui contribuisce proprio il riferimento a disegni A.I. generated. Del resto, stiamo guardando dei ricordi filtrati in qualche modo misterioso da una macchina. Possiamo dire che Ilan Manuach in questo caso ha curato un progetto, anche se sarebbe un’osservazione calzante pure per Culto, per come è pensato, impostato e realizzato. Abbiamo visto come entrambi siano degli archivi e degli assemblaggi, come entrambi propongano delle riflessioni che si rifanno ad una sorta di archeologia del presente. Certo, Pellizzon lavora con materiali creati da lui stesso, gioca con il proprio immaginario e con il proprio tratto, ed è questa forse la differenza più profonda tra le due opere. Tuttavia, dire quale sia più autoriale resta difficile e qui cito invece Jazz Manciola, uno dei curatori di Love Bot: «per usare bene un’A.I. devi avere un’idea autoriale molto forte».
Riprendiamo ora quella forma del fumetto di cui parlavo all’inizio per meglio mettere a fuoco le differenze tra le due opere. Possiamo pensare al graphic novel come a un insieme di fumetti in cui al centro si collocano quelli che si avvicinano di più all’idea di romanzo grafico. Una categoria tanto usata quanto sfuggente, ma con alcune caratteristiche individuabili, almeno a livello di aspettative del lettore: storia autoconclusiva, marcato tratto autoriale, presenza di temi profondi, distribuzione nelle librerie, pubblicato da certe case editrici. Non sempre queste caratteristiche coesistono, e ciononostante possiamo ancora essere davanti a un graphic novel. Lo stesso Contratto con Dio di Will Eisner, da molti ritenuto il primo graphic novel (pubblicato negli Stati Uniti con questa dicitura nel 1978) è una raccolta di quattro racconti e un prologo, comparsi in Italia serializzati su rivista. Quello che voglio dire è che, all’interno di questo insieme, ci sono testi che si collocano al centro, altri alla periferia. Culto sicuramente si posiziona ai margini, gioca con la possibilità di partire da una determinata forma per allontanarsene, per portarla fuori dai propri confini: mette al centro il disegno, all’interno di una storia che potrebbe non concludersi (e potrebbe persino non esistere). Fastwalkers per certi versi si muove in direzione opposta: da un insieme di processi che, almeno fino a due anni fa, non erano utilizzati per realizzare un fumetto (estrapolazione di immagini e testi, sintesi grafica e testuale attraverso algoritmi, realizzazione automatica di una serie di layouts in cui viene distribuito il materiale), porta all’interno dell’insieme (in questo caso quello del fumetto hentai) qualcosa di nuovo, di alieno, che però somiglia incredibilmente agli altri elementi dell’insieme. È una differenza fondamentale, che in entrambi i casi mette in discussione i confini delle categorie e ne fa vibrare la distribuzione interna. Il fumetto di Pellizzon somiglia concettualmente alle statue dalle strane forme con cui comincia, qualcosa che si rifà a un gesto, a una manualità artistica che gioca con la propria storia. L’opera di Manouach, se rimaniamo all’interno della stessa metafora, assomiglierebbe a quelle tre statue fuse insieme attraverso l’azione di un’intelligenza artificiale. Sono oggetti con delle forme in comune, magari anche il materiale è lo stesso, ma sono profondamente diversi. Mi azzarderei a sintetizzare in questo modo: Culto considera l’esterno e la latenza come una destinazione, come il fine di un processo; Fastwalkers la pone come origine, è da lì che viene, e qui dunque la latenza è la conseguenza di un processo. Trattandosi di latenze umane, entrambi finiscono per mostrare una sola verità: che quello spazio latente è sempre stato parte di noi e fa parte del nostro passato come del nostro futuro. E in effetti, il fumetto di Pellizzon ha tutta l’aria di essere un oggetto antico, invecchiato, con quel cartonato ruvido in copertina e i colori ingialliti, mentre il testo di Manouach, bianco e argentato, liscio e lucido, sembra arrivare direttamente dal futuro.



C’è un’altra riflessione che vorrei proporre e riguarda proprio la forma-oggetto in cui si presentano i due testi. A questo punto immagino sia chiaro come i due fumetti non siano di facile lettura e, anzi, forse leggere non è proprio il verbo giusto. Non sono sicuro che abbia senso leggere tutto Fastwalkers e nemmeno che sia stato pensato per essere letto da cima a fondo. D’altra parte, dopo aver chiuso Culto non ho avuto l’impressione di aver letto un fumetto: molte tavole sono da guardare, sfogliare, contemplare. Entrambi sono soprattutto un invito a fare delle riflessioni, alla luce delle quali una domanda sorge spontanea: per chi sono stati realizzati? Qual è il loro pubblico? Il caso di Manouach è particolare, lui è comunque un artista concettuale oltre che un fumettista, può rivolgersi anche a quel settore, a quel mercato. Ma Culto? Un amico e collega mi ha suggerito che può essere acquistato o dai collezionisti, dagli appassionati del libro bello, cartonato e rilegato, con illustrazioni a tutta pagina (attratti quindi dall’oggetto) o dagli interessati al tema del postumano, del corpo, della perdita di coscienza (quindi attratti dai contenuti). Ha ragione, probabilmente, ma mi sembra che entrambe le possibilità identifichino delle nicchie che in Italia sono molto piccole. A questi dubbi si aggiunge un elemento che viene troppo spesso ignorato nei discorsi sul fumetto, cioè il costo: Culto ha un prezzo di copertina di 37 euro, sicuramente equilibrato rispetto all’oggetto che è (224 pagine a colori, copertina cartonata ruvida, ampio formato), ma che altrettanto sicuramente è sopra la media dei fumetti che vengono pubblicati e venduti, come è al di sopra della cifra che molti tra lettori e lettrici sono disposti a spendere per un testo che non sia di un nome arcinoto, come uno Zerocalcare o un Chris Ware. Faccio solo rapidamente notare che Fastwalkers in Italia è venduto al prezzo di 69,69 euro, ma di nuovo, sono due oggetti diversi.

Quanto diversi? Stiamo parlando ancora dell’oggetto, non tanto dei contenuti. Entrambi propongono degli esperimenti, si spingono oltre l’operazione di «raccontare una storia attraverso il fumetto», rendendo il medium il vero protagonista. Mostrano cose che solo il fumetto può fare, proprio giocando con la sua forma, i riferimenti, la grammatica, la storia. Per questo somigliano al libro d’artista. E tra le domande che pongono ce n’è una che suona più incisiva: dove sta andando il fumetto oggi? Qui si trovano due ordini di problemi: il primo è proprio la circolazione di questi testi, la difficoltà che hanno a raggiungere il pubblico anche a causa del loro prezzo; il secondo è la mancanza di un’attiva discussione critica, che porti questi fumetti agli occhi di lettori e lettrici. Non è una critica né a Culto né a Fastwalkers, entrambi esperimenti importanti di cui è giusto che si parli: la critica è al mercato del fumetto oggi. Se è fondamentale che libri come questi esistano, perché sono la linfa vitale del fumetto, c’è da chiedersi quanto questa linfa riesca a circolare. Questo genere di opere deve scontrarsi con la contraddizione di essere messo sul mercato, di essere pubblicato e venduto. È una questione che chiama in causa l’ipertrofia della produzione fumettistica, per cui si parla di un libro per una settimana per poi farlo sparire nel dimenticatoio, oscurato dai dieci fumetti che escono nella settimana successiva. Almeno un certo fumetto sembra andare nella direzione di essere sempre più sperimentale e di costare sempre di più: non è necessariamente un male, ma credo sia importante discuterne. Senza divagare, accenno solo al fatto che c’è stato un tempo in cui il terreno privilegiato per le sperimentazioni era l’underground e la circolazione di quei fumetti era radicalmente diversa. Oggi l’underground è vivo e vegeto, ma è altrettanto vero che gli viene reso sempre più difficile avere uno spazio.

Quello su cui voglio chiudere, a questo punto, è la critica. Perché se il fumetto di Pellizzon pone domande, è compito della critica non tanto rispondere, ma almeno coglierle. E in questo caso il costo dell’opera non c’entra, sappiamo tutte e tutti che chi fa critica può trovare il modo di leggere un fumetto anche senza acquistarlo. Culto incarna quel tipo di fumetto di cui spesso si dice «non ci ho capito niente». Ma è davvero tutto qui? Forse capire non è sempre ciò che più conta dell’esperienza di lettura. I fumetti «che non si capiscono» esistono da decenni, la differenza oggi è che arrivano sugli scaffali delle librerie. E le contraddizioni ci sono e ci saranno sempre, almeno finché saremo all’interno di queste regole di mercato, ma la critica non può seguirne il gioco, altrimenti continueremo a stagnare nelle recensioni per cui è tutto un capolavoro. Culto non è un capolavoro, non può nemmeno esserlo, almeno secondo i canoni per cui un fumetto, oggi, è un capolavoro. Infatti, a distanza di più di due mesi, non c’è ancora una recensione che ne parli: un testo del genere respinge l’operazione della recensione, non si presta ad essere recensita. In questo sta la sua forza che, nel mercato italiano del fumetto oggi, può essere anche la sua debolezza e che fa pensare al privilegio che viene spesso dato all’aspetto narrativo nei discorsi sul fumetto.
Ho toccato tanti temi, forse troppi, senza volutamente approfondirne davvero nessuno. Questo non perché volevo scrivere un articolo superficiale, ma per fare anche in questo caso un esperimento: partire dalle suggestioni che le due operazioni, quella alla base di Culto e quella in cui consiste Fastwalkers, stimolano, anche in virtù dell’essere due lavori diversi. Ho anche messo vicini due fumetti (con tutte le imprecisioni del termine in questo contesto) di cui solo uno è stato completamente realizzato tramite intelligenza artificiale. È naturale che il risultato siano soprattutto domande, piuttosto che risposte. (Rodolfo dal Canto)