Approch to Anima dei Maya Ongaku

Piccola grande fortuna è stata – almeno per chi scrive – essere al Festival “Le Guess Who?” 2023 (Utrecht, 9-12 novembre) e ascoltare uno dei primi concerti in Europa dei Maya Ongaku, band giapponese formata dai giovanissimi Tsutomu Sonoda (voce e chitarra), Ryota Takano (basso, drum-machine ed effetti) e Shoei Ikeda (sassofono, flauto traverso e synth), con all’attivo un disco dal titolo Approach to Anima, pubblicato dalla Guruguru Brain, etichetta indipendente con doppia sede, Tokyo e Amsterdam. 

Come si legge nella pagina Bandcamp dedicata al lavoro, i tre appartengono a comunità costiere nei pressi dell’isola di Enoshima: «hailing from the seaside communities surrounding Enoshima, a small island located 50 km southwest of Tokyo, Maya Ongaku is a ragtag collective of local musicians whose brand of earthy psychedelia transcends widely beyond the roots of their inner souls». Il nome della band è, di fatti, un neologismo associato a uno stato onirico-visivo in cui l’immaginazione prevale sulla realtà: musica (“ongaku”) folk e psichedelica, essenziale e misteriosa: questa “la magia dell’esordio” dei Maya Ongaku (ha scritto Gianfranco Maermoro su “Ondarock”). Si legge ancora nelle note introduttive che la band si è formata frequentando l’Ace General Store, piccolo negozio sul mare, spazio nascosto alla vista nella trafficata e turistica Subana Street di Fujisawa; il particolare rivela che il lavoro del trio è cresciuto in un luogo plurale, tra discussioni su musica e arte, selezioni di vinili da vendere e gestione della cassa, chiacchiere con giovani e anziani del luogo, improvvisazioni spontanee, infine registrazioni nello studio nascosto nel retrobottega; un contesto improbabile che ha però suggerito e favorito l’idea di “generazione spontanea” (come l’ha definita Tsutomu Sonoda) alla base di Approach to Anima: musica come «supposed production of living organisms from nonliving matter». 

Un’immagine, quest’ultima, assolutamente coerente con quanto si è potuto ascoltare nel piccolo spazio dell’EKKO di Utrecht, dove i Maya Ongaku hanno proposto un viaggio sonoro ed emozionale tra meditazione ed esoterismo, capace di intrecciare radici della loro cultura d’origine con incanti contemporanei, trasmettendo un forte senso di libertà creativa. L’iniziale Approach To Anima attira chi ascolta in un piccolo regno da attraversare ed esplorare: dalla texture, generata dall’articolata strumentazione, emergono avvolgenti e dolci percussioni, le vibrazioni di un gong, il tono carezzevole del flauto, il canto degli uccelli, infine una vibrazione cosmic-jazz affidata al sassofono che dona ulteriore senso di profondità e spazialità al suono della band. Note affabili, che sembrano calare con una nebbia melodica, scorrono attraverso ammalianti trame folk-psych (Nuska); sezioni lisergiche offrono spazio a improvvisazioni dal magnetico e suggestivo fluire (Description of a Certain Sound); agili e vezzose melodie folk-jazz, dal ritmo esotico, si dispiegano in un’alba suggestiva, intonante con grazia e disincanto da Tsutomu Sonoda (Melting). Water Song è forse l’avventura sonora più onirica del concerto (e del disco di esordio): qui i Maya Ongaku si avventurano in un luogo altro, umido d’acqua che scorre su trascendenti suoni di synth e avvolgenti fraseggi chitarristici, mentre il sassofono sembra evocare momenti dal Pavilion of Dreams di Harld Budd, che negli anni Settanta contribuì a dettare gli stilemi per la nascita della musica ambient. L’antico spirito di Enoshima convive con quello odierno delle intricate stradine che conducono al piccolo ponte che collega il resto del Giappone all’isola, mentre in lontananza si scorgono paesaggi sonori distanti – testimonianza dei molteplici interessi della band, dal Neo-Dada al gruppo Fluxus, dall’ambient al folk-jazz, dal city pop all’elettronica minimal –, che connettono il resto del mondo ad Approach To Anima, quasi trascendendo l’ambiente fisico in cui si trova chi ascolta. 

L’esordio discografico dei Maya Ongaku è forse uno dei più interessanti del 2023, cui “Le Guess Who?” 2023 ha dato la possibilità di rivelarsi a un piccolo gruppo di ascoltatori che, l’ultimo giorno del festival, alle tre del pomeriggio di una grigia domenica, si sono messi in fila lungo le sponde di un canale di Utrecht per entrare all’EKKO e immergersi nel magico buio sonoro creato da una poco nota band giapponese. Una delle sorprese, sempre tante, che il festival olandese – “free-thinking, diverse and genreblurring”, esempio alternativo alla festivalizzazione della cultura di questi tempi – offre da oltre quindici anni agli appassionati che vi accorrono da ogni parte del mondo.

Simone Caputo

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