BANANA PRESSATA – Dispaccio 6

Ciao e benvenutə!

Questa è Banana Pressata, la rassegna stampa sul fumetto di Le Sabbie di Marte, a cura di Banana Oil. Se non ti piace solo leggere i fumetti ma ti piace anche leggere di fumetti questo è il posto giusto per scoprire cose nuove e/o tenersi sul pezzo.

È successo il Salone del Libro, durante il quale tante persone hanno detto cose e alcune invece non le hanno potute dire perché vittime di abusi “antidemocratici e illiberali” (parole loro, non mie). All’inizio di questo dispaccio fatto tanto di numeri e mercato mi infervoro un po’, ma poi migliora (credo).

© sketchplanations

Dall’Italia

Tocca partire con questa cosa qui: l’AIE e nello specifico la sua Commissione Comics & Graphic Novels ha presentato il suo ultimo rapporto sui lettori e le lettrici di fumetto in Italia. Ne dà notizia un po’ chiunque: Fumettologica, Lo Spazio Bianco, Animeclick solo per citarne alcuni. 

In breve. Lettori e lettrici aumentano, ma aumentano un botto proprio eh: +17% sui dati presentati a PLPL lo scorso anno. Che è un aumento poco credibile in sé (da dov’è spuntato questo milione e mezzo di persone che l’anno scorso non leggeva fumetti e ora sì?), reso ancora meno credibile per via dell’opacità sui metodi utilizzati per estrapolare questi numeri (chi ha contato cosa in che modo?). Probabile che questo aumento sia dovuto in larga parte a un cambiamento nel modo di contare più che a una genuina esplosione di pubblico.

Ora, potrei attaccare un pippone su cos’è che non mi convince di questi numeri, sulla mancanza di barre d’errore, sui problemi statistici legati all’estrapolazione a partire da un subsampling che non sta scritto da nessuna parte sia rappresentativo, su tutti i bias di selezione che potrebbero esserci sui quali, se anche sono stati tenuti in considerazione, non ci viene detto nulla. Magari è discussione per un’altra volta. Per ora mi limiterei a riportarti la notizia e sottolineare come sarebbe opportuno prenderla con le pinze (tanto nel leggerla quanto nel riportarla). C’è un’opacità metodologica di fondo che lo impone proprio, e che mi fa pensare che (buoni o no che siano ‘sti numeri, non ci è davvero dato saperlo) c’è una narrazione (“il fumetto è in supercrescita, yeeeeeeeeeeeei!) alla quale vogliamo credere per cui ci crediamo. E qualsiasi numero confermi questa narrazione ci piace e quindi lo mandiamo giù. Ma non è così che si fanno le cose, né è così che si comunicano.

C’è stato il Salone del Libro di Torino. Che è un posto in cui si vendono i libri a persone che potrebbero comprarli in libreria ma decidono di pagare un biglietto prima (e poi si dice che il mecenatismo è morto). Ma è anche un posto in cui si va agli incontri e si sta sedutə in delle sale ricavate in mezzo al rumore a cercare di sentire cosa il tal autore o la tal autrice ha da dire su questo o quel libro.

A tal proposito, è girata un po’ questa invettiva di Vincenzo Latronico pubblicata sul Post appena prima dell’inizio della manifestazione. Il nucleo in sostanza: dal Salone (e da eventi analoghi) ci guadagnano tutti tranne chi i libri li scrive, perché non viene pagatə per le presentazioni e gli incontri e i reading eccetra. Sono partito un po’ prevenuto nel leggere questo breve scritto e infatti ne sono uscito un po’ infastidito anche se non saprei dire perché: Latronico è bravo a murare preventivamente le obiezioni facili (in Germania le presentazioni si pagano ma questa è l’Italia), a mascherare l’occasionale contraddittorietà di alcune affermazioni (si va al Salone per gli incontri ma poi gli incontri sono popolati solo da persone che non hanno trovato posto al bar), a oscillare tra punti diversi affini abbastanza da stare bene assieme ma lontani abbastanza da rendere faticosa la controargomentazione (autori e relatori non sono la stessa cosa, i tour di presentazione e le fiere non sono lo stesso contesto…). Non mi piace nemmeno troppo la retorica dell’autore come “unica materia prima” (“lavoratori che sono alla base di tutto il settore, i produttori della materia prima che tutto il comparto poi seleziona raffina impacchetta distribuisce vende) vessato da sovrastrutture malvage che lucrano sulla sua arte.

Detto questo, sul trattamento economico di chi i libri li scrive ci si sarebbe da ragionare, sui dati di realtà che rendono attualmente impensabile il gettone per le presentazioni pure, sul prezzo da pagare in nome di una giustizia retributiva in editoria ancora di più. Segnalo la cosa perché se ne parla e se n’è parlato nel tempo anche per il fumetto, troppo spesso con superficialità. Sai mai che un ragionamento serio non si possa mettere in piedi.

E sempre stando in area Salone… è successo un macello con la presentazione del libro della Ministra della Famiglia e delle Pari Opportunità Eugenia Roccella. Di nuovo c’entra poco col fumetto in senso stretto, ma il fumetto non vive nel vuoto e risente del clima culturale che tuttə respiriamo. E il clima pare essere che se dei manifestanti pacificə interrompono la presentazione di un libro – i cui contenuti posso solo immaginare – allora quello è un atto “gravissimo e inaccettabile” perché “non permettere a un autore, chiunque esso sia, di poter presentare liberamente il suo libro perché bloccato da un gruppo di violenti, è un atto antidemocratico e illiberale”. Antidemocratico e illiberale. Al contempo, operare una censura preventiva salvo poi ritirare la mano perché nel frattempo “è arrivata da più parti la conferma che non c’erano pressioni governative a riguardo”, quello invece va bene. È tutto ok. Se non sai di cosa sto parlando, qualche giorno fa è successo un casino gravissimo tra Rovelli (sulle cui idee peraltro sono d’accordo meno di zero) e Levi (il peraltro presidente dell’AIE). Ne ha parlato a fondo Shy qui. E non so, tira ‘na brutta aria. Bene ma non benissimo ecco. 

Ormai lo sapranno tuttə e la loro nonna, ma Barbara Baraldi è la nuova curatrice di Dylan Dog. Le facciamo i migliori auguri come li avevamo fatti a Roberto Recchioni, perché la strada magari non sarà in salita ma non è certo in discesa: i lettori e le lettrici Bonelli son bestie strane difficili da accontentare, soprattutto quando si vanno a toccare personaggi storici. Non conosco Baraldi come curatrice, e (come già visto) non è buona cosa ipotizzare il suo lavoro prima del tempo basandosi sulle sue capacità di scrittrice. Per cui vediamo come andrà. Però vorrei aggiungere una cosa: al di là di quanto abbia o non abbia funzionato la gestione Recchioni in termini commerciali, di quando funzionerà o meno la run Baradli, forse sarebbe ora di provare a tirare le somme di quest’ultimo decennio (e degli anni a venire) anche sul fronte dell’impatto culturale, sull’immaginario. Ché se ne parla sempre poco, soprattutto in maniera sistemica che trascenda il singolo albo bello o brutto, e forse già questo è un sintomo.

Sono stati annunciati i vincitori dei premi Andersen. Nella categoria fumetto vince, mi sento di dire giustamente, Caterina e i Capellosi di Alessandro Tota. Se ancora non l’hai letto fatti un favore e corri a recuperarlo perché è pazzesco.

E sempre per rimanere in tema premi, è uscita anche l’ultima Classifica di Qualità de L’Indiscreto. Primo posto per il secondo volume di Eternity, a seguire sul podio Transformer di Nicoz Balboa e Elsa, Morandi e l’uovoverde di Sarah Mazzetti. Su queste classifiche ho i miei dubbi, ma sono comunque un indicatore interessante. Magari ne parliamo un’altra volta.

È uscito in Giappone l’ultimo libro di Murakami, e su Micromega Fabio Bartoli chiacchiera con Giorgio Armitano, che ne ha tradotto molti libri in italiano, di cosa sia a rendere l’autore così affascinante ed efficace anche fuori dal Giappone {}. La cosa è interessante di per sé. Poi una domanda che comincia così: “Anime e manga a parte, oggi il Giappone sembra annaspare sul piano del soft power culturale”. Armitano rispedisce giustamente al mittente: “Non mi sembra affatto che il Giappone annaspi sul piano del soft power culturale […]. Ma perché dire “anime e manga a parte”? Visto che anime e manga continuano a essere popolarissimi fuori del Giappone e molto presenti nell’immaginario di diverse generazioni, che vanno dai bambini ai sessantenni, perché tenere fuori anime e manga dalla valutazione dell’impatto della cultura giapponese sul resto del mondo? Non solo la loro influenza è più forte che mai, ma anche la letteratura ha un notevole successo: le classifiche dei best-seller hanno costantemente titoli giapponesi tra i libri più venduti, cosa inimmaginabile alcuni anni fa”. Fantastico. (Poi su sta cosa del soft power ci sarebbe da ragionarci a fondo eh, la butto lì in caso qualcunə c’abbia voglia di farci un dottorato). 

E a proposito di soft power culturale giapponese e dei manga che vanno fortissimo, nasce un nuovo editore: si chiama Toshokan, è divisione di IF Edizioni e si ripropone di pubblicare il meglio del fumetto asiatico (non solo manga, ma anche Taiwan, Hong Kong e Vietnam) di ieri e di oggi. Chi lavora dietro le quinte aveva già avuto sentore della cosa perché può essere che abbia provato ad acquisire dei diritti da una certa casa editrice taiwanese per sentirsi rispondere che erano già presi (ogni riferimento è puramente casuale). Ora è tutto pubblico. Bene, siamo felicissimə.

Una sola cosa, dato che checché ne dica l’AIE la torta sempre quella è: sono certo che Gianni Bono e IF e Giunti si siano fatti i loro conti, ma occio che c’è questa narrazione che “i manga vendono per cui basta stamparli e i milioni si materializzano da soli”. Narrazione a cui abbiamo già assistito e i cui effetti conosciamo ben bene. Per cui ecco, i migliori auguri a Toshokan perché di nuovo la strada non sarà in salita ma certo non è in discesa.

Dall’estero

Sul Comics Journal, Avery Kaplan riflette sul rapporto tra fumetto digitale (soprattutto Instagram) e fumetto cartaceo. Nello specifico prende quattro titoli nati sui social network e poi riadattati per la carta, per ragionare su come il cambio di medium ne influenzi la forma, il linguaggio e l’esperienza di lettura.

Sono state annunciate le nomination agli Eisner Award! Al di là dei singoli titoli nominati (quest’anno ammetto di non essere sul pezzissimo) è interessante la spartizione dei pesi tra i vari editori: Image in testa, a seguire Fantagraphics e pure Drawn and Quarterly si piazza bene. Non brillanti invece le altre major (Marvel, DC e Dark Horse). Dato secco, non so se c’è già il margine per una riflessione, ma lo appoggio lì.

Dicevamo nel dispaccio scorso del terremoto che ha investito IDW. Sul Comics Beat, Heidi MacDonald intervista Davidi Jonas, nuovo CEO della compagnia. È una chiacchierata più leggera e piacevole di quanto ci si potrebbe aspettare dato il taglio “corporate” e vale la pena darci un occhio per capire meglio la cosa nella sua rotondità (e a una scala più grossa di quelle alle quali siamo abituati quando si parla di fumetto dalle nostre parti).

Sempre parlando di terremoti: VIZ lancia VIZ Manga, un’app su abbonamento per leggere i manga. Che magari può sembrare una cosa piccola, ma non lo è. Già l’app di Shonen Jump va forte, ora il panorama si amplia ancora, con un catalogo smisurato.  Ci sarebbero tante riflessioni da fare: sulle nuove modalità di lettura, sul contrasto alle scanlation non autorizzate, sull’efficacia dei modelli su abbonamento Netflix-style da affiancare alla carta stampata, sui nuovi modi di fare editoria, sui come e i perché queste operazioni in Italia non stiano (ancora) prendendo piede. Per adesso, lascio qui la notizia. 

Sul Comics Journal, Tegan O’Neil recensisce Cankor di Matthew Allison, che sembra una bomba.

Sempre sul Comics Journal, Chris Mautner recensisce Work-Life Balance, l’ultimo libro di Aisha Franz, autrice da troppo tempo assente nei nostri scaffali. Il libro a me ha convinto a metà e condivido molto punti della recensione, che segnalo soprattutto per la chiosa che si sofferma su una questione a cui ho pensato anche io leggendo il libro e che mi sono posto anche in altri casi (per esempio quando, con add editore, abbiamo deciso di pubblicare Goblin Girl di Moa Romanova): la rappresentazione del supporto psicologico. È un problema che dovremmo porci o so’ io che mi faccio troppi problemi?

Matteo Gaspari

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