BANANA PRESSATA- Dispaccio 4

Ciao e benvenutə!

Questa è Banana Pressata, la rassegna stampa sul fumetto di Le Sabbie di Marte, a cura di Banana Oil. Se non ti piace solo leggere i fumetti ma ti piace anche leggere di fumetti questo è il posto giusto per scoprire cose nuove e/o tenersi sul pezzo.

L’ultima volta mi ero lasciato prendere dalla polemica. Questa volta cerco di fare il bravo.

© Il Signore degli Anelli – Il ritorno del re, ça va sans dire

Dall’Italia

È stata annunciata la dozzina del Premio Strega (niente paura: non ci sono fumetti a sproposito quest’anno). La rosa dei titoli la puoi trovare qui, io non ne so abbastanza ma mi dicono sia una selezione un po’ meh. Ma non è questo il punto. Il punto è che mi sono imbattuto in questo commento alla lista dei titoli, firmato da Mariarosa Mancuso su Il Foglio. E vale la pena spenderci due parole (nel senso che mi si è chiusa la vena e quindi voglio spenderci due parole. Mi sto trasformando in Jonathan Zenti).

Mancuso lamenta l’abbondanza di sofferenza, di autopatetismo, di ricerca della catarsi personale nella rielaborazione del trauma, tra i titoli in lizza. Che sono tutte cose vere: è vero che questi libri, è vero che vendono ed è quindi vero che se ne pubblicano di più. Ma, soprassedendo sul tono dell’articolo, quest’idea di “ci aspetta un’estate di merda perché leggeremo i libri dello Strega, e i libri dello Strega sono tristi” è un’idea aberrante. Passeremo un’estate di merda se quei libri sono brutti, che può pure essere ma né io né Mancuso lo sappiamo. Per nostra ammissione.

Sono allibito – e un po’ offeso – dal fatto che ancora nel 2023, su una testata nazionale, si parli di libri senza la capacità di andare oltre al tema, tra l’altro con questo sottofondo da “dateci libri leggeri per favore” come se la letteratura fosse o dovesse essere leggerezza. E che si chiuda vanificando l’unico ragionamento potenzialmente sensato – sulla catarsi estroflessa o introflessa – citando con malriposta saccenteria Aristotele. Cosa che mi dice che Mancuso è più interessata a dare dell’ignorante al suo lettorato che a portare avanti un discorso serio.

Visto che l’altra volta si parlava di critica, ecco un ottimo esempio di come non si fa.

Sempre per stare laterali al fumetto, su In allarmata radura Leonardo Ducros di Altri Animali racconta un po’ di cosa significa, per lui, fare editing a un testo. È un pezzo godibile e soprattutto mega interessante anche se in qualche punto, mi pare, un po’ troppo idilliaco. Lo segnalo perché la prima critica che sento sull’editing dei fumetti è che non se ne fa abbastanza. E la seconda è che il poco che si fa lo si fa male. Ma ho spesso l’impressione (non sempre, ma spesso) che chi lamenta l’una o l’altra cosa si aspetti che l’editor sia una sorta di figura che arriva, fa una magia e trasforma una porcata magari impubblicabile nel prossimo best seller. E invece, come giustamente elabora Ducros, l’editor non ha il compito di materializzare le velleità letterarie di chicchessia. E se lo fa sta sbagliando qualcosa.

Nella sua newsletter Scrolling Infinito, Andrea Girolami parla della crisi dell’editoria, rispolverando il vecchio “a cosa serve un editore se, autoproducendomi e autopromuovendomi, arrivo comunque allo stesso pubblico”? È un punto non davvero nuovo ma anche sempre nuovo, man mano che l’editoria attraversa i suoi periodi di crisi che – mi pare – sempre di più mostrano delle crepe strutturali sulle quali varrebbe la pena riflettere. In questo panorama, “a cosa serve un editore?” o “a cosa servono le librerie” mi arrivano non tanto come sparate, ma come domande – più o meno provocatorie – per testare il sistema e soprattutto il nostro posizionamento al suo interno. Ché “a cosa serve un editore?” ce lo si può (ce lo si dovrebbe) chiedere anche se non si è autori ma editori.

Su Fumettologica, una piccola retrospettiva tutta da scoprire su AX, la rivista di manga in qualche modo erede di Garo (o almeno così mi e ci piace pensarla) che tuttə vorremmo esistesse anche in Italia e invece.

Che poi non è manco vero, alcunə degli autori e delle autrici più pazzə che vediamo adesso in circolazione vengono da lì. Ma che ci posso fare? Una rivista è un’altra cosa.

Sempre su Fumettologica, Antonio Dini riflette sulle difficoltà di leggere fumetti via tablet/e-reader. Non sono persuaso per niente che i libri digitali sbattuti dentro un Kindle occupino tutti lo stesso spazio mentale e, se lo fanno, non sono persuaso che il motivo sia l’omologa impaginazione. Però la questione oggettuale del fumetto, dico in termini semiotici prima che fisici, a dire il vero appena appena toccata, è centrale. E vale la pena rifletterci ancora.

E ancora su Fumettologica, Tonio Troiani dedica l’ultima puntata della sua rubrica a Roland Topor {}. Che è un nome che mi segnerei, ne riparliamo tra qualche mese.

Dall’estero

Kutikuti ha lanciato la call per il numero 68 della rivista (quasi omonima) Kuti. È una rivista ganza, vale la pena darci un occhio (anche solo per leggerla, mica necessariamente per pubblicarci dentro). Scadenza il primo maggio, tutti i dettagli qui.

Se ti piacciono i progetti in crowdfunding, la stagione primaverile di Fieldmouse Press (per capirci, sono quelli che fanno la bella rivista online di critica Solrad) mi sembra interessante. 10-10 to the wind mi ispira particolarmente, per dire. Le spese di spedizione sono una sassata, ma nel caso si possono comprare anche solo le versioni digitali dei fumetti (per la gioia di Antonio Dini).

Natsume Fusanosuke è, ormai l’avrai capito da solə, una presenza stabile del Comics Journal – che sta lodevolmente recuperando e traducendo i suoi scritti – e di conseguenza di Banana Pressata. Questa volta si parla de La corazzata spaziale Yamato e della rappresentazione del conflitto bellico per una generazione troppo giovane per averlo vissuto direttamente. Must read.

Da oltreoceano, proseguono le notizie di autori e autrici che si mettono assieme, in maniera più o meno strutturata, più o meno collettiva, più o meno sindacale. Questa Cartoonist Cooperative mi pare meno formale della sua controparte in Image Comics, e per ora senza dubbio più piccola, ma te la segnalo comunque per via dell’accento posto sulla mutua promozione delle opere. Questo per dire che certe criticità son poi sempre le stesse un po’ dappertutto, e che il problema è sempre meno far esistere un libro e sempre di più farlo arrivare. Che è un’ovvietà, ma una di quelle che ogni tanto vale la pena ribadire.

Manga dappertutto? Manga dappertutto. Abrahams ComicArts comincia a pubblicare fumetto giapponese, che già di per sé è una cosa, ma la parte importante della notizia mi pare sia un’altra: il fumetto in Abrahams passa da collana a divisione editoriale. Che può sembrare una questione di lana caprina, ma segna un cambio di investimento notevole che, ancora una volta, testimonia come il fumetto oggi non sia nella stessa posizione editoriale/commerciale/economica (e di conseguenza culturale) del fumetto ieri.

Ritornano le considerazioni sulle TTI – oh, che ci vuoi fare, è l’argomento del decennio – e nello specifico ritornano tramite le “riflessioni” condivise da Dave McKean al Comica i Londra riportate, un po’ a spizzichi e bottoni, dal Comics Beat. Si parla poco di consenso, di scraping, di datasets e copyright e si parla invece un sacco di tutto il resto. E, devo dire, mi pare che pure questi virgolettati tradiscano una generale pochezza di ragionamento, qualche incomprensione e qualche punto sagace. E soprattutto un sacco un sacco di mani avanti a difesa “dell’arte tradizionale” (qualsiasi cosa sia) che sì “MidJourney è figo ma”.

Che poi a me piacerebbe una discussione seria sull’argomento, ma non è questo il giorno.

Sai quella cosa del Free Comics Book Day? Io l’ho sempre trovata un po’ ‘na pacchianata e non sono mai riuscito a convincermi che serva a qualcosa (oltre a distribuire qualche fumettino stampato sulla carta velina che preferiresti comunque avere dentro a un volume). Però oh, se lo continuano a fare la sua utilità ce l’avrà. Fosse anche solo pubblicitaria. Qui un mini documentario sulla nascita dell’iniziativa.

Sul Comics Journal, Ryan Carey fa un ritratto di MMYOPE, un’entità editoriale newyorkese che, a leggere le sue parole, pare matta un bel po’. Se hai voglia di scoprire robe strambe e mega interessanti, con un minimo di contestualizzazione, questo sembra essere il posto giusto. Se invece vuoi andare direttamente alla fonte, qui il loro sito.

Matteo Gaspari

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