
L’universo letterario del probabile
Francesca Romana Capone
Bollati Boringhieri, 176 pagine, 18 euro
Una delle distinzioni culturali più sterili, particolarmente diffusa in Italia anche per influsso di Croce ma di fatto paradigmatica del pensiero europeo e occidentale in genere, divide di netto il sapere “umanistico” da quello di impianto scientifico. Nonostante tutti gli sconvolgimenti culturali del Novecento, i molteplici tentativi più o meno riusciti di rivoluzioni prospettiche copernicane sui valori, le implicazioni e le responsabilità della cultura occidentale tutta, e nonostante la nascita di una disciplina che auspicava a farsi scienza pur attingendo molto dal mito e dalla letteratura in genere, quale era la psicoanalisi, questa cesura tra sapere scientifico e sapere umanistico è, tutto sommato, ancora immutata. Tra i pochi scienziati che hanno fatto qualcosa per superarla, congiungendo anzi ricongiungendo il legame tra matematica e letteratura, sicuramente va indicato Paolo Zellini: negli ultimi anni di vita, e nelle Lezioni americane, uno scrittore del calibro di Italo Calvino scrisse che “tra i libri italiani degli ultimi anni quello che ho più letto, riletto e meditato è la Breve storia dell’infinito”.
Un altro studioso che ha sempre cercato di preservare la continuità tra sapere umanistico e sapere scientifico, tanto da poter essere equamente definito un fisico-matematico, uno storico della scienza e un grecista, è Lucio Russo, il cui lavoro più celebre, La rivoluzione dimenticata, mirava a far riscoprire le grandi scoperte scientifiche e tecniche avvenute durante l’Ellenismo e poi messe da parte per congiunture storiche, sociali ed economiche. La rivoluzione dimenticata rappresentava anche un contributo per rimodulare la nostra immagine canonica della Grecia, troppo ancorata alle sue conquiste artistiche, drammaturgiche e religiose per permetterci di immaginare quanto i greci fossero all’avanguardia a livello tecnico-scientifico; e oltre a cercare di effettuare un ulteriore cambio di prospettiva e di attenzione dall’Atene classica del V secolo a.C. alla koiné mediterranea del IV-II sec., La rivoluzione dimenticata si presentava anche come una celebrazione di quella civiltà in cui ancora un Aristotele poteva indifferentemente discettare di etica, di politica, di fisica, di metafisica, di biologia e persino di etologia e astronomia, conseguendo risultati notevoli in ciascuno di questi ambiti, non solo in filosofia.
Sorprende e al tempo stesso non sorprende trovare quindi la prefazione di Lucio Russo a L’universo letterario del probabile, il saggio d’esordio, almeno nella grande editoria, della studiosa Francesca Romana Capone. Anche la Capone può vantare un curriculum di studi altamente transdisciplinare, tra storia dell’arte, comunicazione della scienza, culture classiche e moderne e letteratura comparata; con un saggio che avrebbe affascinato Umberto Eco, la Capone prova a leggere, talvolta criticamente, le differenti modalità di interazione tra scienza e letteratura dall’Ottocento ad oggi. Il suo è uno sguardo diacronico, che vede macroscopicamente un peggioramento della comprensione scientifica da parte degli scrittori, e del pubblico non specializzato in genere. Sono numerosi i nomi degli scrittori scomodati dalla Capone in questa originale lettura scientifico-critica, che non teme di scomodare autentici mostri sacri della letteratura occidentale: Edgar Allan Poe, Arthur Conan Doyle, Paul Valry, Robert Musil, fino ad arrivare a David Foster Wallace e Ian McEwan, sul cui romanzo Miele, datato 2012, si chiude l’ultimo capitolo del saggio. Interessante anche il ruolo rivestito dai tre scrittori italiani approfonditi dalla Capone, un trio di nomi non scontato che comprende Luigi Pirandello, Carlo Emilio Gadda e il recentemente scomparso Daniele Del Giudice. Particolarmente atipica è la posizione rivestita da Pirandello all’interno delle dinamiche analitiche dispiegate da L’universo letterario del probabile: se generalmente la Capone menziona un dato libro o scrittore per analizzare come questi si è servito più o meno fedelmente di concetti scientifici all’interno delle sue strutture narrative, o comunque per applicare diversi moduli della teoria della probabilità alle stesse, Pirandello viene scomodato in virtù della lettura fatta dalle sue opere da Bruno de Finetti, il maggior probabilista italiano, che, come spiegato nell’articolo Pirandello maestro di logica, vedeva nei lavori del drammaturgo premio Nobel una particolare consonanza con il suo percorso scientifico.
L’universo letterario del probabile “mostra come l’unità della cultura sia in parte sopravvissuta all’imperversare dello specialismo e al vistoso allontanarsi delle scienze dure dalla comprensione del grande pubblico. I legami tra ambiti apparentemente lontani, come le ricerche fisico-matematiche e la letteratura, si sono esplicati soprattutto attraverso influenze profonde e sotterranee, riconoscibili solo da chi non si sia confinato in uno solo dei tanti comportamenti in cui oggi la cultura appare suddivisa”. Così riassumeva Lucio Russo al termine della sua prefazione.
Uno dei passaggi più interessanti de L’universo letterario del possibile è proprio quello in cui si evidenzia come, sul finire dell’Ottocento, nel pieno della temperie culturale positivista, “la nascita di nuove discipline applicate alla società e all’uomo può spiegare l’emergere del racconto poliziesco”. Le diverse teorie criminologiche elaborate all’epoca, tra cui spiccano le famigerate tesi di Cesare Lombroso, insinuano la fiducia verso una possibile spiegazione razionale del delitto. L’investigatore, se vogliamo, nei racconti e nei romanzi di Arthur Conan Doyle diventa il contrario di un teologo: è lui “il soggetto capace di far emergere una logica dietro al mistero”. Diverso sarà il destino degli investigatori, spesso improvvisatisi tale, dei racconti di Edgar Allan Poe – per non parlare degli incauti protagonisti di Lovecraft, concepiti a Novecento avviato eppure apparentemente indirizzati in una polemica contro ogni razionalismo e contro ogni illusione di secolarizzazione.
“Se si ammette un legame generale dell’universo, non c’è particella o fenomeno avvenuto in qualsiasi epoca che non sia necessario al fenomeno prodotto”, scriveva Paul Valéry nei suoi interminabili Cahiers, esplicitando una considerazione dal valore piuttosto universale e, apparentemente, conseguente. A una simile concezione sembrava opporsi il grande matematico Pierre-Simon Laplace, vissuto a cavallo tra Settecento e Ottocento, che nel suo fondamentale Saggio sulla probabilità affermava con decisione che “Il passato non deve avere sull’avvenire alcuna influenza”, e arrivo a sbeffeggiare i seguaci della lotteria di Francia che si segnavano i numeri più frequentemente usciti nelle ultime sessioni, pensando che siano quelli i numeri fortunati che gli assicureranno la vittoria. A metà strada tra le due concezioni, e, per inciso, a metà strada cronologicamente anche tra gli altri due autori, l’investigatore August Dupin concepito da Edgar Allan Poe ci teneva a ribadire la sua persuasione che “l’esperienza ha dimostrato, e la vera razionalità dimostrerà sempre, che una larga, forse la più ampia parte della verità, si ritrova in ciò che apparentemente è irrilevante: è grazie allo spirito di questo principio, se non della sua lettera, che la scienza moderna ha deciso di calcolare sull’imprevisto”. Imprevisto che si fa ragion d’essere, e principio calcolatorio del romanzo, in un poliziesco-anti-poliziesco quale è Quel pasticciaccio brutto di via Merulana di Gadda, questo sì un testo che si situa al di là di ogni dibattito sul positivismo o sull’anti-positivismo, quasi al di là del linguaggio stesso.
Con L’universo letterario del probabile Francesca Romana Capone tenta, per usare le sue stesse parole, “una sintesi sensata della storia di un’idea e di una teoria scientifica, della sua traduzione letteraria e dei possibili effetti di quest’ultima sul senso comune del pubblico, cercando di mostrare i più importanti nodi problematici e di far riflettere sul presente e sul futuro della relazione tra scienza e letteratura”. Come ben evidenziato al termine del capitolo Il senso delle possibilità, “bisogna ipotizzare che il progressivo impoverimento concettuale sia frutto anche di un parallelo decadimento della cultura scientifica diffusa, del quale non mancano certo le prove”. L’universo letterario del probabile è un testo specialistico che probabilmente risulta più comprensibile e accessibile agli esperti di matematica e scienza che agli appassionati di letteratura, ma potrebbe tracciare un interessante solco di studi da cui partire per continuare ad applicare moduli analoghi a nuovi capisaldi della letteratura italiana e occidentale tout court.
Proprio giocando sulle molteplici accezioni che a livello tanto matematico quanto ontologico, tanto etico quanto, se vogliamo, anche teologico riveste il termine possibilità sarebbe particolarmente interessante vedere un saggio à la Capone applicato sui capisaldi dell’esistenzialismo letterario del Novecento, che segnano proprio il momento in cui la letteratura occidentale abbandona ogni idea di destino e si apre definitivamente, complice il modello di Joyce, a una struttura più aperta e libera.
(Ludovico Cantisani)