Come (e perché) fare un porno algoritmico a fumetti: intervista ai curatori di Love Bot.

Nel 2021 la rivista underground Čapek è uscita con il suo terzo numero, a tema “Vita, morte e miracoli”. Si compone di tre parti, una delle quali è un oggetto che non passa inosservato: Love Bot, «il primo fumetto porno algoritmico della storia, scritto e disegnato da una macchina: Nobot». Il piccolo spillato è accompagnato da una prefazione del Dott. Crotti, pseudonimo dell’ingegnere che ha seguito il progetto, e una postfazione della Dr.ssa Fiumara, psicanalista e psicoterapeuta. Abbiamo avuto la possibilità di intervistare i due curatori, Hurricane Ivan e Jazz Manciola, fumettisti e membri della redazione di Čapek.

Breve premessa tecnica, per capire di cosa si sta parlando. L’intelligenza artificiale utilizzata per Love Bot sfrutta un sistema GAN (Generative Adversarial Network). In breve, esso si compone di due network neurali avversari, uno detto «generatore» e l’altro «discriminatore»: affidatogli un dataset di immagini, la prima rete cercherà di produrre immagini diverse ma quanto più simili al dataset; la seconda cercherà di riconoscere le immagini originali da quelle generate dalla prima rete. In questo modo le due reti si addestrano a vicenda (una a generare, l’altra a riconoscere), ottenendo immagini sempre più simili al dataset fornito. Si tratta di un principio utilizzato anche da A.I. Text To Image (TTI) come Midjourney e Dall-E. La principale differenza tra queste e Nobot, la macchina utilizzata per realizzare Love Bot, sta nel front-end, vale a dire l’interfaccia per gli utenti: le TTI generano immagini basandosi su una stringa di testo (detta prompt), mentre Nobot produce immagini esclusivamente sulla base del dataset e del suo algoritmo. Questo è reso possibile anche da un’importante differenza di database: se quelli di A.I. come Midjourney e Dall-E sono numericamente vastissimi, il database di Nobot è stato creato appositamente ed è molto più limitato, motivo per cui le immagini che produce hanno una certa coerenza col database, senza comandi di testo. In altre parole, non avrebbe senso dirgli “disegnami questa cosa con lo stile di Picasso”, perché non lo conosce.

Seconda premessa, relativa all’intervista: per una serie di (mancate) coincidenze spaziali e temporali in tempi accelerati e postumani, questa è stata condotta per messaggi vocali e in due momenti diversi per i due curatori. È stato quindi necessario un certo lavoro di editing, anche considerando che i due intervistati hanno risposto senza sapere cosa l’altro avesse detto sullo stesso tema. L’intervista che segue è stata quindi assemblata e rimaneggiata come i materiali di cui tratta. Naturalmente gli intervistati hanno letto e approvato la versione finale.

Buongiorno Hurricane, buongiorno Jazz. Grazie per averci concesso questa chiacchierata. Dunque, partiamo dall’inizio: come nascono l’idea e i mezzi per realizzare Love Bot?

H. L’idea è stata mia e di Jazz, siamo entrambi fissati con le intelligenze artificiali. Più in generale, si è mossa dalla rivista Čapek. Questa nasce con l’intento di essere una rivista dell’impossibile: cercare di fare delle cose che nessun’altra rivista farebbe (magari anche con delle buone ragioni!). L’idea era di realizzare nel modo più assurdo il filo conduttore del numero 3, Vita, morte e miracoli. Quindi abbiamo provato ad affrontare il tema cercando situazioni e realtà lontane tra loro. Per i miracoli abbiamo contattato tramite Simone Venanzio una bruja, una strega messicana. Mentre per la parte della vita, ci piaceva l’idea di trattare con un’intelligenza artificiale. Tra l’altro Čapek porta questo nome in onore di Karel e Josep Čapek che hanno coniato il termine robot: il legame con la vita artificiale è proprio inscritto nella rivista. Riguardo ai mezzi: grazie a Jazz siamo riusciti a contattare un ingegnere (che vuole rimanere anonimo), il quale si è messo al lavoro sulla rielaborazione di immagini attraverso un’intelligenza artificiale. A questa macchina abbiamo dato il compito di realizzare un fumetto porno.

J. Čapek per sua natura si appoggia sempre a professionisti, tecnici e personaggi che vengono da mondi diversi: architetti, designer, curanderi, dottori, psicanalisti. Dato che avevamo il contatto di un ingegnere informatico al lavoro sulle intelligenze artificiali, volevamo fare qualcosa con lui. Inizialmente l’intenzione era quella di creare una macchina combinatoria che scrivesse storie o racconti, poi man mano ci siamo spostati verso un generatore di facce. Ci siamo messi al lavoro con l’ingegnere, l’idea si è sviluppata, e si è andata a incastrare nel terzo numero di Čapek.

Un po’ viene detto nei testi che accompagnano il fumetto, ma vorremmo qualche informazione in più: perché proprio un fumetto pornografico?

H. Perché il porno è un genere che può essere considerato sia decisamente umano che meccanico; secondo noi si prestava a questo tipo di operazione. Il porno mette in scena un continuo mescolarsi e incrociarsi di corpi, ma allo stesso tempo è anche una rappresentazione del sesso e del rapporto fisico che può sfociare in qualcosa di meccanico. Vedere che cosa potesse pensare una macchina del sesso e in che modo potesse relazionarsi dal punto di vista visivo con il porno è stato qualcosa che ci ha spinto in questa direzione. Volevamo vedere se la macchina poteva fondere i corpi, creare delle anatomie distorte come quelle di David Cronenberg, un autore che ci ha influenzato molto. Dall’altra parte ci interessava anche vedere una narrazione che fosse legata al gesto e alle azioni, capire fino a che punto una macchina potesse spingersi a raccontare una storia di questo tipo. Anzi, nel caso di Love Bot non c’è nemmeno il preambolo narrativo che invece si trova spesso nelle storie pornografiche. In questo caso il racconto inizia da corpi che si incastrano e si fondono. È anche un genere che mette in scena l’anatomia umana: affidare la fusione dei corpi umani alla macchina permette di approfondirla.

J. Il genere del porno è stato scelto perché ci sembrava interessante far lavorare un computer su temi molto umani, su qualcosa che coinvolgesse i sentimenti. Inizialmente eravamo dell’idea di fargli disegnare una storia d’amore, poi però le esigenze di una sceneggiatura scarna, di immagini ripetitive e di cliché forti per addestrare la macchina, per permettergli di fare machine learning, ci hanno portato a un genere vicino e allo stesso tempo diverso da quello sentimentale, il fumetto erotico. Qui gli stereotipi sono forti, abbiamo la presenza di gesti meccanici, elementi che aiutano l’apprendimento della macchina. Senza contare che stavamo lavorando con un materiale grezzo e brutale, il porno degli anni ’70: ci sembrava perfetto per essere stravolto.

Quante e che tipo di immagini avete inserito nell’A.I.?

J. Nel software abbiamo messo vignette prese da fumetti porno degli anni ’70 e ’80, cercando di mantenere una linea comune: abbiamo preso fumetti esclusivamente in bianco e nero e abbiamo scorporato le vignette per permettere un miglior training al computer. Per essere precisi, abbiamo diviso le scene in tre categorie tematiche e la macchina ha imparato partendo da queste. I fumetti avevano molti elementi in comune, cosa che ha aiutato il computer: aveva bisogno di immagini molto simili per imparare.

H. Sì, erano principalmente tavole pubblicate dalla casa editrice Squalo o da Renzo Barbieri, fumetti erotici e pornografici.

I fumetti originali che avete usato per il dataset presentavano balloons? Se sì, come sono stati eliminati dal risultato finale? E la scelta di questi colori rosa? Sono colori che vengono dagli originali o li avete scelti voi?

H. I balloons sono stati tutti eliminati: avevamo la mezza idea di metterci dei dialoghi, ma non potevano essere dei dialoghi umani, dovevano essere realizzati anche quelli attraverso un’intelligenza artificiale. Nobot però era in grado di lavorare solo con le immagini quindi ci saremmo dovuti affidare a un’altra macchina con un altro ingegnere, qualcosa di difficile da realizzare. Di fatto, altro motivo per cui abbiamo scelto il porno, è che non ha bisogno di dialoghi. La prima idea che avevamo in realtà era di realizzare solo dei volti: in Čapek 3, all’ultima pagina, ci sono delle facce strane, sono fatte da Nobot. Allo stesso tempo però ci sembrava un esercizio di stile, pure un po’ superato, così abbiamo deciso di provare qualcosa di più ambizioso. Il colore lo abbiamo aggiunto noi, per dare al fumetto un elemento straniante in più. C’era anche l’intenzione di ragionare sul trittico dei volumi di Čapek: ciascuno di essi ha un colore fosforescente diverso, verde, arancione e rosa. Volevamo sottolineare il colore della carne e dei corpi, anche per dare l’idea di persone dal colore della pelle diverso che si fondono, ma tutti fosforescenti, come fossero delle creature artificiali.

J. Il dataset utilizzato da Nobot è stato molto mirato. Le vignette sono state pulite, il computer aveva bisogno di poche informazioni e che fossero precise; quindi abbiamo eliminato sia gli sfondi che i balloons. Per quanto riguarda il colore, lo abbiamo aggiunto noi, anche se all’inizio pensavamo a un bianco e nero con i retini. Il segno di Nobot era già stellare di suo, tanto che una riedizione in inglese l’abbiamo lasciata solo in bianco e nero. In quella italiana abbiamo usato il rosa anche per inserirla nel numero di Čapek 3, come diceva Hurricane. Poi secondo me con questo rosa un fumetto già smargiasso è diventato ancora più glitterato e ammiccante.

Come viene realizzato il layout? Lo fa la macchina sulla base del dataset o questa produce “solo” le immagini e voi le assemblate? Nel fumetto ovviamente il lavoro di messa in pagina delle immagini è determinante per la lettura, il ritmo, l’equilibrio della tavola. (Se il layout non è realizzato dall’A.I., avrei questa domanda: le immagini sono generate tutte con la stessa forma e dimensione?)

J. Domanda spigolosa, ci siamo molto interrogati sulla questione. Sì, la macchina produceva immagini tutte delle stesse dimensioni, quadrate. Però le produceva come dei panel su una pagina, sembrava ci fosse già un’impaginazione. Non produceva un layout vero e proprio, ma sembrava suggerirlo, tanto che la griglia base è quella tirata fuori dal computer, 6 vignette per pagina. Abbiamo comunque cercato di farci suggerire dal computer dei possibili layout, con un database diverso. Nella pratica il lavoro finale di impaginazione lo abbiamo fatto noi, era necessario dare equilibrio e ritmo al fumetto, ma lo schema della pagina, la gerarchia degli spazi, ce lo ha suggerito sempre un’intelligenza artificiale. L’idea di accostare immagini senza spazio è arrivata dal computer, che ci ha avvicinato ad esempio ai fumetti di Crepax. E il non avere spazio bianco secondo noi ha dato molta muscolarità alle pagine.

H. Sul layout il nostro intervento è stato forte, in varia misura lo abbiamo fatto noi. Abbiamo lavorato di tagli e di impaginazione. È stato un intervento umano molto pesante, ce ne rendiamo conto, ma era necessario; altrimenti non sarebbe uscito qualcosa di fruibile né convincente. Che poi è lo stesso lavoro che avremmo potuto fare con un autore o un’autrice che ci consegnava una serie di disegni: insieme a questa persona creiamo un’edizione particolare dove aggiungiamo colore e impaginato. La copertina di Čapek 3 di Jan Švankmajer è un collage che con il suo consenso abbiamo colorato e reimpaginato: con Love Bot abbiamo fatto lo stesso, lo abbiamo trattato alla stregua di un artista vivente.

Il modo in cui lavora una GAN produrrà necessariamente delle immagini molto derivative, no? Il suo scopo è quello di produrre qualcosa di diverso ma quanto più simile al dataset originale. Certo, si potrebbe obiettare che ogni opera in un certo senso è derivativa, anche quelle realizzate dagli umani. Pensate che sia un problema per il copyright? E per la figura dell’autore/autrice?

H. Il problema del copyright non ce lo siamo mai posti. Čapek lo pubblichiamo con Marcello Baraghini, che è l’editore pirata per eccellenza, e personalmente sono contrario a un utilizzo ossessivo del copyright, soprattutto nel momento in cui siamo davanti a un’opera originale, frutto di modifiche e rielaborazioni. Il situazionismo e altre realtà visive che ci hanno ispirato si rifanno proprio alla rielaborazione di immagini. Con la rivista collaborano grandi collagisti come Officina Infernale, King Pritt, René Pascal, artisti che fanno della rielaborazione di immagini esistenti una loro cifra stilistica. Operazioni come quelle di Nobot funzionano proprio perché sono una rimasticatura di cose esistenti. Love Bot funziona così: dà una vita diversa a cose che già esistono. Quindi sì, è arte derivativa, ma in un modo differente da altra arte fatta da umani che adesso è tanto in voga. Ad esempio, questo culto degli anni ’80 che si trova in molto intrattenimento (il primo esempio che mi viene in mente è Stranger Things), si muove da un rimaneggiamento umano, ma sembra fatto da un’intelligenza artificiale. È come prendere due o tre formule che funzionano e applicarle cambiando qualcosa in un altro contesto (per quanto sia un prodotto assolutamente godibile). Nobot ha fatto qualcosa di diverso: c’è l’elemento randomico, ed è proprio quello che mi affascina. Secondo me è centrale che questi prodotti d’arte del passato non vengano assemblati con una strategia per ottenere qualcosa, ma attraverso un’associazione casuale che genera risultati sempre diversi. È nell’immagine inaspettata che sta il fascino di questa operazione. A noi piace pensare che il nostro collaboratore artificiale sia un’A.I. più disadattata rispetto alle altre: se penso a Midjourney o ad altri programmi che ti permettono di elaborare immagini, Nobot è altro, è ossessionato dal sesso.

J. Il software produce qualcosa di diverso dal database e si chiede da solo quanto questo si discosti dall’originale. Lo scopo della GAN è quello di ingannarsi: vuole ottenere qualcosa di fedele al dataset iniziale pur essendo diverso. Nel nostro caso, infatti, l’ingegnere non era per nulla soddisfatto del lavoro, diceva che la macchina non funzionava e che il database era irrisorio, troppo scarno. Naturalmente per la nostra rivista di amenità e vita campestre, le immagini di Nobot erano perfette, un mix tra Cronenberg, Bacon e Crepax. Sappiamo che il risultato è molto diverso dalle immagini originali, ma va bene così, era quello che cercavamo. Tanto che abbiamo sporcato il nostro database con del materiale extra per ottenerlo. Ci piaceva l’idea di trovare un segno originale, il fatto che Nobot avesse un proprio stile: lui si ispira, non copia. Così ci allontanavamo pure dal problema del copyright. A questo proposito sento che persone più autorevoli di me si stanno molto interrogando. Il primo aspetto è relativo al copyright del database, il pescare dalle immagini di un artista senza il suo consenso; poi c’è il problema che il computer può ricreare quelle immagini lì, sottoposte al diritto d’autore. Sono problematiche secondo me legate alle migliaia di immagini che abbiamo attorno, alla continua masticazione di dati visuali cui siamo sottoposti. Una parte di me pensa che ogni opera è derivativa, che mettiamo costantemente in circolo immagini in maniera massiccia e quindi non ci si può stupire se un computer, nel generarne altre, include anche materiali protetti da copyright. D’altra parte, questo pensiero deve fare i conti col fatto che col copyright uno ci vive, un artista non ha molti altri modi per campare con le proprie opere.

Nella postfazione a Love Bot la Dr.ssa Fiumara cita Freud, Lacan e la pulsione sessuale. Che rapporto c’è, secondo voi, tra l’A.I., il fumetto Love Bot e l’inconscio umano? Perché bisogna ammettere che c’è qualcosa di perturbante in queste immagini.

H. Non so che tipo di rapporto ci possa essere tra Love Bot e l’inconscio umano. Tra noi e l’A.I. c’è grande curiosità, ma il discorso dell’inconscio coinvolge ogni tipo di produzione. Noi siamo partiti da una matrice umana, da una serie di fumetti pornografici realizzati tra gli anni ’70 e ’80 dove c’era un certo tipo di estetica e concezione della donna, dell’uomo e anche dei rapporti sessuali. Questa cosa è stata tritata, masticata e risputata da Nobot. Sicuramente c’è dell’inconscio, anche nella nostra scelta dell’impaginazione e del colore. Non so bene come spiegarlo, comunque non è una cosa voluta. La Dr.ssa Fiumara è una nostra collaboratrice, la redazione di Čapek può vantare una volpe vera, un disegnatore robotico e una psichiatra. Lei era perfetta per fare un’analisi di Love Bot e per sottolineare che il nostro è un robot che si è incartato sul sesso.

Quello che mi sembra evidente è che le intelligenze artificiali viaggiano velocissime: una cosa come Nobot quando l’abbiamo fatta noi era potentissima, adesso è già obsoleta. È impossibile stare al passo con questa velocità e in ogni caso non ci interessa. È più interessante avere un collaboratore artificiale ossessionato dalla sfera sessuale.

J. L’idea era di lavorare su un materiale grezzo come quello pornografico. E Nobot ha detto una cosa precisa: in questo porno ci sono solo due elementi, mazze e rigonfiamenti (culi, fianchi, seni). Niente visi, niente volti. Ha rimarcato anche una certa violenza delle immagini: alcuni disegni sembrano le foto che gli americani scattavano in Iraq con i detenuti, insacchettati e inginocchiati. C’è tanta brutalità, ecco: volti storpiati, ipersessualizzazione, violenza. E in questo c’è qualcosa che ci riguarda, senza dubbio. Il perturbante, nell’accezione di Freud, ha un duplice significato: è sia qualcosa di familiare e conosciuto, sia qualcosa di straniante. In Love Bot riconosciamo qualcosa, ma con la sensazione che sia qualcosa di alieno. Quei corpi, quei gesti, li riconosciamo e non li riconosciamo. Tanto che è un fumetto porno senza peni e vulve chiaramente individuabili. La Dr.ssa Fiumara per me ha ragione a citare certi pensatori in relazione a Love Bot

Domanda tecnica: nel fumetto viene detto che man mano la macchina “impara” a disegnare (machine learning). Quindi all’inizio realizza disegni poco somiglianti al dataset e man mano migliora. Love Bot fotografa un momento dell’apprendimento della macchina oppure è il massimo della somiglianza agli originali che si può ottenere? Perché nel primo caso allora diventa determinante scegliere il momento giusto per fermarsi, raccogliere e pubblicare le immagini.

J. Sì, noi ci siamo fermati a un certo punto, anzi, abbiamo fatto anche un piccolo passo indietro. Gli ultimi risultati realizzati da Nobot non sono quelli che abbiamo pubblicato in Love Bot. L’ingegnere aveva provato con altre variabili, non essendo soddisfatto del lavoro e aveva ottenuto immagini più somiglianti agli originali, anche troppo secondo noi. Quindi sì, Love Bot fotografa un momento, un certo tipo di storpiatura dell’immagine. Questo è un deeplearning, ma anche un deepforgetting: nel senso che lo abbiamo fermato a un certo punto, anzi siamo tornati un pochino indietro, lo abbiamo costretto a dimenticare ciò che ha imparato.

Cosa ne pensate del dibattito sulle A.I. TTI (Text To Image), di cui si è molto discusso negli scorsi mesi (e si discute ancora)? Che differenza c’è tra queste e una GAN come quella che avete usato voi, soprattutto in relazione al ruolo del/della fumettista?

H. Personalmente preferisco l’approccio che abbiamo utilizzato. È come creare un mostro di Frankenstein in modo randomico, ma avendo il controllo degli ingredienti. Mi sembra molto interessante, è come fare dei collage, hai la possibilità di rifarti a un’estetica precisa. Con la TTI c’è il rischio che si ottenga un risultato omologato, perché si va ad attingere da un’unica fonte. Paradossalmente, nonostante ci sia molto in mano alla macchina, c’è meno imprevisto. Si rischia un’omologazione estetica, con un risultato meno potente. Con Love Bot abbiamo fatto la scelta di dargli in pasto un tipo preciso di fumetto pornografico, parte di un periodo storico italiano in cui si compravano i fumetti porno nelle edicole: è qualcosa che va a scavare in quel tessuto sociale. Se avessimo buttato nella macchina fumetti porno generici ci sarebbero state altre influenze grafiche e avremmo avuto qualcosa di diverso. Magari anche più bello, ma con un’identità meno forte. Noi avevamo in mente i corpi fusi realizzati da una macchina e Nobot è stato assolutamente all’altezza delle aspettative.

J. Ho letto delle discussioni a riguardo, soprattutto di Lorenzo Ceccotti (LRNZ). È molto difficile avere un’opinione su questi temi, ad oggi. La mia linea è quella brutale per cui vale tutto e il compito dell’artista o del tecnico è quello di andare avanti nonostante tutto e grazie a tutto. Le Text To Image possono essere molto utili ai non-tecnici: se per esempio sono un musicista e voglio una cover per il mio disco, grazie a queste A.I. posso visualizzarla. Adesso c’è molto interesse per le immagini deformate come quelle prodotte da Midjourney (che peraltro ricordano un po’ lo stile di Nobot). Poi possono essere dei buoni strumenti anche per gli artisti. La fotografia ha liberato la pittura, Photoshop ha liberato una certa produzione di immagini, anche con le A.I. bisognerebbe fare un passo in avanti. Sono consapevole che ci siano delle differenze, si tratta di un software che pesca da un database di opere fatte da altri artisti e lavora su quelle. Ma non c’è nulla di intelligente in questo, questi algoritmi non sono intelligenti, anzi, per certi versi sono molto stupidi e si basano ancora moltissimo sul lavoro umano. Per questo secondo me è prematuro preoccuparsi della possibilità che queste macchine rubino il lavoro agli artisti.

Il ruolo del fumettista e dell’autore per me rimane quello di superarsi, come hanno sempre fatto, anche e soprattutto alla luce di nuove invenzioni. Ho visto esperimenti di intelligenze artificiali che fanno fumetti e il risultato mi è sembrato deludente. Con Nobot siamo stati clinici: ci siamo fermati ad un certo momento, l’abbiamo contestualizzato, anche sporcato il più possibile. Sembra paradossale, ma secondo me per usare un’intelligenza artificiale devi avere un’idea autoriale molto forte, come quando usi qualsiasi altra tecnica.

State lavorando a un volume più ampio, giusto? Quando prevedete l’uscita del lavoro completo?

H. Sì, stiamo lavorando a un volume completo, collaboriamo ancora con Nobot e il suo ingegnere, ma non sappiamo le tempistiche. Abbiamo delle idee, ma ci riserviamo di mantenere il mistero.

J. Čapek uscirà con un numero 4 e Nobot sarà tra i collaboratori, con qualcosa di diverso. Ci piace come autore e sappiamo che vuole fare altre cose. Gli lasceremo il suo spazio all’interno della rivista. Love Bot lo abbiamo portato un po’ in giro, abbiamo fatto due mostre, una a Milano e una a Berlino, abbiamo ricevuto moltissimo interesse. Ci ha aperto un mondo sconosciuto, quello degli ingegneri che montano computer per costruire immagini grottesche. Sarebbe bello vedere un volume completo di Love Bot, certo, ma Nobot è un po’ pigro. Vediamo se si mette al lavoro.

(Rodolfo Dal Canto)

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