
Peplum
Blutch
001 Edizioni, 160 pagine, 18 euro
Confine estremo dell’Impero romano, V secolo dopo Cristo. Un giovane senza nome, esiliato per ragioni sconosciute, si ritrova a lottare per la sopravvivenza insieme a compagni che odia. Un giorno in una caverna il gruppo trova una bellissima donna ibernata in una lastra di ghiaccio. Nel ragazzo scatta qualcosa, pian piano la “donna ghiacciata” diventa per lui un ossessione. Tanto che, sporcatesi le mani di sangue e assunta un’identità non sua, porterà con sé la fredda statua in un viaggio di ritorno alla civiltà, nella quale il giovane dispera di reintegrarsi.
In due parole, Peplum è un racconto sulla classicità latina. Tuttavia, se in questi casi la cifra comune è quella di dipingere un mondo eroico, assolato e accattivante (o, in alternativa, bucolico e ameno), Blutch sceglie di adottare una rappresentazione di segno opposto. L’universo di Peplum è cupo, desolato e informe, regolato da leggi di appartenenza di casta ma soprattutto dalla violenza e dai rapporti di potere. Nulla sfugge a questa logica: la vitalità si manifesta solo in maniera brutale ed elementare, e investe ogni livello di relazione. L’esempio più lampante è quello dei rapporti erotici e amorosi, sempre in bilico tra rapacità e reciproca ossessione.
Il tema dell’ossessione attraversa tutta l’opera, e viene declinato in vari modi. Ossessione per la sopravvivenza, per lo status sociale, per la virilità, per la donna di ghiaccio come emblema di femminilità perfetta che fa del protagonista un Pigmalione “postmodernizzato”, abbassato e maledetto. Tra tutte le ossessioni prevale quella per la vita, che però si degrada sempre più fino a terminare emblematicamente in putrefazione. I volti che il giovane incontra sono vuoti, deformati, scheletrici. Non si limitano a definire un turbinìo di caratteri secondari e fantasmatici, ma contribuiscono a delineare una generale atmosfera da Basso Impero. Non a caso una delle scene iniziali è quella del cesaricidio: le vicende prendono il via sotto il segnodella decadenza, per involvere progressivamente verso la decomposizione finale.
In Peplum il gioco e l’interscambio tra antico e moderno sono vivaci e costanti. Il titolo stesso allude al sottogenere cinematografico ad ambientazione genericamente greco-romana, tracciando una linea fra vecchio e nuovo ma anche fra cultura “alta” e cultura pop. Il sistema citazionistico della graphic novel è piuttosto fitto, spazia tra il Satyricon di Petronio e la scultura greca arcaica fino a Pasolini e Fellini. C’è forse anche un ammiccamento a generi di largo consumo, tramite l’adozione di tinte cupe che il lettore contemporaneo, saturo dei tanti Troni di spade, è spesso abituato ad associare al Medioevo. Lo stesso motivo dell’ossessione è strettamente legato a quello dell’alienazione, topos moderno per eccellenza traslato da Blutch in una delle epoche premoderne per antonomasia.
Tutto ciò si riverbera anche sulla forma artistica: a volte i toni sono volutamente carichi, sia nella scrittura che nel disegno, quasi a parodiare gli stereotipi altisonanti che l’attuale Occidente associa alla classicità latina. Non mancano però anche espedienti espressamente scenici e teatrali, come le sequenze delle danze amorose. L’impianto delle vignette è tradizionale, eppure veicola un eccezionale dinamismo. Il framing regolare e squadrato incornicia un tratto mosso, quanto sta “dentro” le vignette sembra muoversi indipendentemente dalla porzione di azione visibile. (Agnese Cossu)