Big Questions

Big Questions

Anders Nilsen

Eris Edizioni, 656 pag bianco e nero, 35 euro

Big Questions comincia con delle vignette a effetto, piccoli sketch botta e risposta. Si articola in una miriade di episodi, l’indice quasi spaventa e contribuisce a far percepire l’inizio dell’opera come poco organico. Ma, piano piano, gli occhi del lettore si abituano a quel mondo rarefatto e la narrazione si mette in moto raggiungendo presto una sua coerenza.

In un luogo non meglio specificato, perso in una campagna rada e desolata, vive una piccola comunità di passeri. Sono uccelli vigili e pensanti, attenti a ciò che li circonda. Tra loro discutono di problemi filosofici, interpretano la realtà secondo schemi precisi e misurati. Di questo sistema interpretativo fanno parte “le persone”, più precisamente due: la nonna, piccola, muta e malata, e l’idiota, un ragazzo del tutto inconsapevole che dipende dalle cure dell’anziana. Sono gli unici esseri umani nel raggio di chilometri e abitano una casetta spoglia e sola.

La vita di questo angolo di universo viene improvvisamente sconvolta dalla caduta di una bomba, seguita a breve distanza dall’aereo che l’ha sganciata. Dall’abitacolo sbuca il pilota, che sembrerebbe aver provocato volontariamente la caduta. È qui che quella dei passeri inizia a configurarsi in tutto e per tutto come una società: l’evento perturbante scatena supposizioni e, soprattutto, reazioni. L’aereo viene interpretato come un grande uccello, la bomba come il suo uovo e il pilota come una sorta di pulcino miracoloso, nato dalla testa dell’enorme uccello. C’è chi vede nella catastrofe un’epifania messianica, innescando dinamiche violente e autoritarie e cercando di coinvolgere gli altri nell’adorazione fanatica. C’è chi è scettico, chi ha paura, chi tenta di ricondurre tutti alla ragione. C’è chi, pentito di essersi fatto coinvolgere, viene divorato dai sensi di colpa. E c’è anche chi riesce a vedere quel che accade più lucidamente degli altri, ma lascia che gli eventi facciano il loro corso perché “così tira il vento”. 

Ciò che accomuna tutti i passeri è un’incessante ricerca di senso, portata avanti da prospettive inevitabilmente parziali. Gli uccelli commettono infatti l’errore di decodificare gli eventi attraverso i propri parametri, che percepiscono come assoluti ma che sono in realtà creati a immagine di sé, con limiti che corrispondono ai limiti della specie. Questo cortocircuito è alla base del dramma, perché si tratta sì di un errore, ma allo stesso tempo è l’unico strumento di cui gli uccelli dispongono per leggere la vita: non c’è altro che possano fare. La comunità dei passeri è, chiaramente, un paradigma delle società umane. E i passeri sono tali e quali agli uomini: piccoli, fragili, sciocchi e limitati, a loro modo innocenti… Del tutto in balìa degli agenti esterni e della paura dell’ignoto, spesso generata dalla propria limitatezza e dalle ombre del proprio inconscio. 

“Altro grande tema è quello della precarietà, che pervade l’opera sia in positivo (come speranza) sia in negativo (come morte in continua potenza).”

Non tutto è però ombra o fantasma: la violenza, la morte e la decadenza sono reali, parte del quotidiano. Riguardo alla “catastrofe della bomba” uno degli uccelli commenta che sì, è senz’altro distruzione, ma non particolarmente straordinaria. “La solita distruzione, solo un po’ più spettacolare”. La morte trova in Big Questions le più svariate rappresentazioni, tra le quali prevale quella di “altra faccia della vita”, resa spaventosa dal pensiero e dall’azione degli esseri viventi. Altro grande tema è quello della precarietà, che pervade l’opera sia in positivo (come speranza) sia in negativo (come morte in continua potenza). Le scene di predazione sono tra le più numerose e varie, così come sono vari e numerosi i predatori che popolano il mondo dei passeri. Alcuni, come il gufo e il serpente, si muovono da soli. Sono intelligenti, accettano la propria condizione di oppressori come parte indiscussa dell’ordine delle cose. Ma è questa stessa consapevolezza a far sì che alcuni di essi si ravvedano, come accade al serpente: il più bravo a scrutare negli abissi delle tenebre, nei meandri dell’esistente, a comprenderli e ad accettarli. Altri invece, come lo stormo dei corvi, guardano alla loro natura attraverso la lente di una totale disillusione, che si traduce in una sconcia esibizione del male ma anche in una tagliente lucidità di pensiero. Scherzando con uno dei passeri un corvo dice che la corruzione inizia nel momento in cui si comincia a cibarsi degli altri. 

In termini di rapporti di potere, di segno particolare è la contrapposizione tra il pilota e l’idiota: le uniche due figure umane della graphic novel da un certo punto in poi, opposte e speculari. Il pilota sfugge a sé stesso, ha in sé una violenza cieca e allo stesso tempo innocente, che non può fare a meno di avvenire in quanto manifestazione di vita. Ha terrore della fragilità dell’idiota, il quale dal suo canto tende a una violenza “al rovescio” e, forse, più naturale: è indifferente a tutto, immerso totalmente nel flusso vitale, entro cui include anche la morte senza battere ciglio. Pensa per immagini semplici, che compaiono nella sua mente in seguito alla lenta aggregazione di tanti minuscoli atomi. Anche in lui la vita si manifesta irrefrenabile, incontrollata, rendendolo al contempo mostruoso e puro. In questo somiglia agli uccelli, che percepiscono l’urgenza dei bisogni primari anche davanti alle disgrazie più immani. Ed è all’insegna di questa incoercibile vitalità che il libro si conclude. Il male non è stato smascherato, perché il suo volto è sempre stato ben noto. Davanti a una sua insolita esplosione la vita è rimasta sgomenta, ma ha presto ripreso il proprio corso perché ha reincorporato il male in sé stessa. La vita dunque continua, ma con meno male di prima. E il testimone di pulcino, di prescelto, passa dal pilota all’idiota. 

Big Questions ha avuto una lunga gestazione. Lo leggiamo nella postfazione acclusa alla bella edizione Eris, in cui l’autore descrive il processo creativo alla base dell’opera. Delle parole di Nilsen colpisce l’approccio consapevole, e pragmatico, a forma e narrazione: dietro all’apparente semplicità si cela una visione artistica solida. È facilmente comprensibile dal tratto sicuro, dalla resa del movimento minuta e strettamente funzionale al racconto. Basti pensare al paesaggio, che si evolve e muta a seconda delle vicende e del sentire dei personaggi. Lo stile rarefatto, che strizza l’occhio al puntinismo e ricorda l’illustrazione per bambini, asseconda quella che è la principale finalità dell’opera: lo straniamento. Ed è proprio da un esercizio di straniamento che, racconta Nilsen, nacquero le prime bozze. Questo conferma l’impressione di autonomia data dalle vignette iniziali, con il loro impianto da strip autoconclusive… Ma dà anche un respiro molto ampio all’aspetto tematico, che abbiamo ampiamente analizzato: è possibile che i significati siano univoci o molteplici, così come è possibile che non ce ne siano affatto. (Agnese Cossu)

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