
Primo fumetto di ampio respiro della svedese Linnea Sterte, portato in Italia da ADD Editore con la traduzione e la postfazione di Claudia Durastanti, Disfacimento si presenta come un fumetto atipico: potremmo dire che racconta, in un universo tra il fantascientifico e il fiabesco, del processo di decomposizione di una gigantesca balena e degli intrecci che questo genera nell’ambiente che la circonda. Sfogliandolo notiamo la quasi totale assenza di testo insieme a uno stile di disegno che riesce a essere dettagliato ed evocativo, preciso e tremolante, enfatizzato dai contorni poco netti delle vignette, le cui inquadrature spaziano da paesaggi sterminati a cellule e microrganismi. Se non ci fosse una storia che si sviluppa, potremmo pensare di essere davanti ai disegni di un’esploratrice, che porta su carta quello che vede durante il suo viaggio su un pianeta a noi sconosciuto.
Non si sa quale sia il passato della balena: le cause della sua morte sono ignote, viene presentata già ferita, mentre il suo corpo si schianta sulla superficie di un mondo in cui la differenza tra terra, cielo e mare non viene mai data per scontata. Qui comincia il gioco narrativo di Linnea Sterte: «i suoi effetti proviamo a immaginare». Sono diversi i popoli che incontreranno la balena sotto varie forme e ciascuno di loro instaura con essa una relazione differente: il disfacimento dell’animale diventa via via fonte di sostentamento, materia prima per manufatti artistici, luogo da cui trarre armi da guerra e oggetto di studio. La storia disegnata dall’autrice è un esperimento che ricorda la fabula speculativa di cui parla Donna Haraway in Chthulucene, come nota anche Claudia Durastanti nella postfazione. Questo tipo di racconti mira a mostrare delle alternative al presente, concentrandosi sulle relazioni (o «parentele», per usare le parole della Haraway) impreviste, sulla convivenza e la collaborazione tra creature umane e non-umane. In Disfacimento infatti non vediamo solo l’uso che gli umani fanno del corpo della balena: un gruppo di donne riesce ad anticipare l’avvicinarsi del nemico attraverso gli occhi di un uccello mentre un entomologo trova l’oggetto delle sue ricerche grazie all’aiuto di un cane da fiuto.
Da queste generali premesse, il fumetto di Linnea Sterte si pone in stretto dialogo con il presente: tutta la storia può essere letta in una chiave ecologista non banale, evita l’antropocentrismo dell’essere umano che salva il pianeta (dal suo stesso intervento, peraltro), per mettere al centro la convivenza con le altre creature, animali e vegetali, in un equilibrio sempre precario. Una scelta attuale e matura, che si mostra attraverso le pieghe di una storia che ha il respiro e il ritmo del mito.
Ma naturalmente c’è dell’altro. Senza rovinare il piacere della lettura, diciamo che nella balena alberga uno spirito, una pilota, il cui preciso ruolo all’interno della creatura rimane comunque ambiguo. Non nascondo che di primo acchito ho provato una certa perplessità mista a delusione nel vederla rappresentata come una donna: a fronte di un pianeta abitato da creature strane e immaginifiche, mi sembrava che una simile scelta replicasse in maniera un po’ scontata lo stereotipo della natura come donna (e dell’uomo che cerca di conquistarla e possederla) e recuperasse la centralità dell’essere umano proprio là dove ci si aspetterebbe il mistero. Invece, il mistero rimane: la pilota infatti ha solo le parvenze di una donna e questa somiglianza unita al suo essere sfuggente e imperscrutabile non fa che aumentare lo stupore e la frustrazione di chi cerca di conoscerla. In questo modo si insinua la consapevolezza che in realtà sia il nostro sguardo a vedere somiglianze e differenze rispetto a noi stessi là dove invece c’è un’unica sola natura: le categorie con cui distinguiamo ciò che è umano da ciò che non lo è perdono di importanza ed è sorprendente lasciarsi trascinare da questo pensiero e sentirsi parte di un tutto, liberi per qualche breve momento da una realtà scritta a misura d’uomo che è sempre più insostenibile, per il pianeta come per noi che lo abitiamo.
A questo proposito, fondamentale è il silenzio. Non ci sono risposte in Disfacimento e la scarsità di testo e di dialoghi sottolinea l’importanza dell’ascolto e dell’osservazione, sia da parte dei personaggi che da parte di lettori e lettrici: alcune tavole di Linnea Sterte sembrano uscire da un libro di storia naturale, con un interessante dialogo tra ciò che è infinitamente grande e ciò che è immensamente piccolo. I disegni sembrano dirci che possiamo provare la stessa meraviglia sia rivolgendo lo sguardo al cielo che osservando i tessuti di una pianta o la vita di un microbo. È sufficiente saper guardare e per farlo è necessario ritirarsi, mettere da parte il proprio io e immedesimarsi in ciò che abbiamo intorno: i «tagliaossa», ad esempio, possono riprodurre statue di creature che non hanno mai visto perché riescono a sentire i ricordi della balena, a fare tesoro della sua eredità che non è soltanto materiale.
L’equilibrio dell’ecosistema è evidenziato dalla struttura circolare del racconto. Questa rischia di essere spezzata proprio da un entomologo, colui che cerca di conoscere, di mettere le creature in un museo, immobilizzandole in un tempo sospeso. Non c’è una critica aperta alla sete di conoscenza umana, ma è evidente come questa eviti di fare i conti con la morte, con la decomposizione, nel tentativo di fermare la trasformazione della vita. Nel museo troviamo le stesse creature che animavano le pagine precedenti, ma in questo caso sono immobili, prive di vita e accompagnate da un’etichetta che vuole darne una definizione. C’è una temporalità diversa rispetto alla Storia che coinvolge la balena e le creature che gravitano attorno al suo corpo.
Come accennavo, la gestione della tavola dà un respiro lento e disteso all’intero testo: sono moltissime le vignette orizzontali a mezza pagina, insieme ad ampie splash page che lasciano spazio al paesaggio e poche, misurate, vignette verticali, che invece danno un’idea dell’altezza del mondo che stiamo osservando. Gli esseri umani sono caratterizzati da pochi semplici tratti e, fatta eccezione per alcuni dettagli, finiscono per essere molto somiglianti, che è forse una perdita rispetto alla varietà del mondo che li circonda. Questa scelta dona al fumetto quell’aria fiabesca di cui parlavo, per cui gli esseri umani sono tutti ben proporzionati, con un fisico simile e stereotipico che rischia di appiattire quelli che comunque sono attori di rilievo all’interno della storia. C’è qualcosa di disneyano nei personaggi dell’autrice, in particolare nella figura della pilota.
Ma spostiamoci sull’interessante l’appendice, Blood Caudex: qui in poche tavole si assiste alla crescita di una pianta al cui interno scorre del sangue, come lascia intuire il nome. Al centro dunque c’è lo sviluppo di un essere i cui confini tra vegetale, animale e umano non sono così netti, elemento che lo accomuna alla balena e alla pilota, il cui racconto è speculare a quello della Blood Caudex: dal grande mito della decomposizione della balena, si passa alla minuta storia di una pianta e alla sua crescita silenziosa. Gli esseri umani sono quasi assenti, compaiono in una sola tavola, e la curiosità del lettore viene stuzzicata proprio dalla possibilità di una storia condotta senza attori umani, dove i disegni dell’autrice si esprimono in tutta la loro potenza e precisione. Qui davvero l’essere umano è marginale, un essere di cui si intuisce la presenza ma che rimane fuori campo, mentre la vera protagonista è una creatura vegetale.
È chiaro che Disfacimento porti lettori e lettrici in diverse direzioni: possiamo rimanere meravigliati davanti allo spettacolo dei suoi disegni e del loro raccontare e allo stesso tempo interrogarci sui significati di quello che in fin dei conti è un esperimento di immaginazione. Questa possibilità è resa esplicita dall’approfondita postfazione di Claudia Durastanti: si passa da Donna Haraway alla mitologia di Melville per arrivare alle spore evroniane di PK, ma risuona anche la fiaba ecologica di Nausicaa della valle del vento di Miyazaki, i «tentativi» di immaginazione di Ursula K. Le Guin (le cui riflessioni sulla scrittura sono da poco state raccolte e pubblicate nel libro I sogni si spiegano da soli, edito da Sur, se ne parla qui), la natura che segue regole tutte sue e che si riprende i suoi spazi quando l’uomo si ritira come in Dissipatio H.G. di Guido Morselli e le scene cui abbiamo assistito durante i lockdown. Per ogni popolo e per ogni capitolo è possibile immaginare uno sviluppo, ma quello che conta in Disfacimento sono le relazioni che nascono da qualcosa di grande, spaventoso e semplice come la morte. Il fumetto di Linnea Sterte si può esplorare, rileggere, riguardare: in un tempo che passa sotto il nome di Antropocene, Disfacimento ci ricorda di abbandonare la presunzione di essere superiori all’interno dell’ambiente che abitiamo, di convivere con esso piuttosto che consumarlo e di stringere relazioni e parentele. È anche una fiaba sulla morte come eredità e trasformazione e sul suo legame stretto con la vita, altri incroci che sono sistematicamente (e lucidamente) oscurati dall’epoca in cui viviamo. (Rodolfo Dal Canto)