
In un villaggio di maiali, preciso ed ordinato, ai piccoli porcellini è permesso di ritagliarsi, rigorosamente fuori dalle sue mura, uno spazio di libertà dove tuffarsi nel fango, rovesciare colori, rotolarsi nella polvere. Spinti da un’irrefrenabile voglia di esplorare, i piccoli maiali non lasciano nulla di intentato. Ma quando il gioco finisce, macchinari inesorabili come una catena di montaggio li riportano nell’ordine del pulito. Dietro l’apparente armonia di questo piccolo mondo si nasconde la tensione tra l’autonomia dei bambini e i binari dell’educazione, pronta a sfociare in scontri inenarrabili. L’assenza di un testo rende lo sguardo adulto determinante nell’indirizzare la lettura insieme ai bambini. Secondo alcune recensioni reperibili online, il libro renderebbe “le mamme” felici perché mostra la possibilità di un meccanismo perfettamente efficiente. Si propone in questo modo di avvicinarsi ai disegni di Arthur Geisert attraverso uno sguardo censore, grazie al quale il linguaggio dell’ordine patriarcale prevale su quanto i porcellini mettono in pratica interpretando collettivamente uno spazio organizzato per la loro porcheria di gruppo. Il consiglio è di rovesciare questo schema e leggere invece Porcheria come una dimostrazione acuta, letteralmente senza parole, di come la letteratura per l’infanzia parli anche a noi, permettendoci di tuffarci in questo mondo di magia e sconforto che è l’esperienza con i bambini guardando il piccolo lettore che è al nostro fianco con complicità. Ecco allora che con Porcheria scopriamo la gioia dello sporcarsi, del rotolarsi, il gioco possibile della pulizia e la nostra responsabilità di far sì che ciò avvenga. (Giorgio Grappi)