
Il cinema dei supereroi come fenomeno contemporaneo nasce sotto l’ombra del terrorismo. Tanto è vero che il trailer del primo Spider-Man diretto da Sam Raimi dovette essere “censurato” e rimosso dai cinema americani perché a un certo punto mostrava un gruppo di criminali che, dopo aver rapinato una banca, tentava la fuga in elicottero, prima di ritrovarsi bloccati tra le Torri Gemelle in mezzo ad una ragnatela gigante sparata da Spider-Man alias Peter Parker. Lo stesso destino ebbe una locandina del film, in cui si vedevano le Torri riflesse negli occhi della tuta da Uomo-Ragno.
Se il cinema tese evidentemente a rimuovere ogni ricordo dell’attentato e delle Torri stesse, diverso fu l’atteggiamento dei fumetti: pochi mesi dopo l’11 settembre la Marvel Comics diffuse un numero speciale del fumetto Amazing Spiderman in cui l’Uomo Ragno e altri supereroi di casa Marvel – Capitan America, i Fantastici Quattro, il dio Thor – facevano i conti con le conseguenze psicologiche e morali dell’attentato. “Non potevamo prevederlo. Non potevamo essere qui prima che succedesse. Non potevamo impedirlo. Ma siamo qui ora”, si leggeva in una tavola, prima di lanciarsi in un panegirico dei pompieri e addirittura scusarsi con gli adolescenti loro fan e lettori “per non averli fatti nascere in un mondo all’altezza dei nostri sogni”. Raramente un fumetto di supereroi aveva trasudato di tanta impotenza e di un tale sentimento di sconfitta.
Non è avventato tracciare una corrispondenza tra un momento di crisi nazionale e mondiale e l’apparizione ricorrente di narrazioni relative ai supereroi. Se i superhero movies come fenomeno collettivo nascono sotto l’ombra delle Torri Gemelle, dell’11 Settembre e della Guerra in Iraq, i superhero comics erano nati all’alba della Seconda Guerra Mondiale, in un’ America ancora provata dalla Grande Depressione, e del senso di crisi di quegli anni si nutrirono. Con il Marvel Cinematic Universe nato nello stesso anno, i film di supereroi hanno continuato ad accompagnare l’America e il mondo intero anche dopo la crisi economica del 2008, la più disastrosa dai tempi della Grande Depressione, accentuando ulteriormente l’impressione di una specularità tra il momento della nascita dei supereroi come personaggi dei fumetti e quello dell’affermazione del supereroistico come genere cinematografico.
Basta affondare di poco il nostro sguardo nel genere supereroistico, nelle sue macrostrutture, perché si dipanino davanti ai nostri occhi delle evidenze piuttosto rilevanti. Da un lato, con il pretesto della criminalità, il genere dei cinecomics ci sembra cruciale per meglio comprendere e analizzare alcune paure profonde dell’Occidente contemporaneo, degli Stati Uniti d’America in primis: e proprio analizzando l’MCU può essere illuminante vedere come cambiano certi sottotesti “politici” dei film, dal 2008 del primo Iron Man, lo stesso anno dell’elezione di Obama, al 2021 di Eternals e di Spider-Man: No Way Home. Del resto, in un paese in cui vige dogmaticamente il libero commercio delle armi, è comprensibile che si avverta, metanarrativamente, l’esigenza di esorcizzare la possibilità che un privato cittadino scenda nelle strade a farsi giustizia da sé – replicando quella figura di vigilante che il cinema e prima dei film i fumetti sui supereroi hanno esplicitamente “rubato” ai film western e ai romanzi della saga di Zorro. Dall’altro lato, il genere supereroistico sembra candidarsi ad essere un’interessante variazione di una narrazione antica quanto il mondo, la narrazione apocalittica che ne immagina per l’appunto la fine. Apocalisse e terrorismo sembrano essere i due poli da cui possono muoversi i primi passi della nostra analisi.
Torniamo all’11 Settembre e alle Twin Towers censurate dal primo Spider-Man: se all’11 Settembre seguì la guerra in Iran, a Spider-Man di Sam Raimi seguì l’Iron Man originale di Jon Favreau. Nel film del 2008, Tony Stark, “miliardario, filantropo e playboy” che gestisce una grande multinazionale produttrice di armi, va in Afghanistan a presentare il suo nuovo missile militare all’esercito degli Stati Uniti, ma sulla via di ritorno verso l’aeroporto è vittima di un attentato, e viene fatto prigioniero da un gruppo di terroristi locali chiamato Dieci Anelli. È un riferimento ad Al Qaeda che neanche si può definire “velato” – e le riflessioni che il primo Iron Man lascia cadere sul traffico di armi, così come il percorso esistenziale di Stark dall’inizio alla fine del film e dall’inizio alla fine della Fase Tre dell’MCU con la sua morte al termine di Endgame, meriteranno senza dubbio uno sguardo attento. Spider Man ed Iron Man non sono che esempi di un fenomeno più ampio, che ha lasciato strascichi nei sottotesti dei cinecomics per almeno un decennio dopo l’11 Settembre: anche e ancor di più nella trilogia del Cavaliere Oscuro di Cristopher Nolan, sicuramente più tematicamente matura e “seria” delle trilogie dedicate ad Iron Man e all’Uomo Ragno, si respira un’aria di incertezza, di paranoia e di crisi che ben tratteggia i sentimenti dell’America a ridosso dell’11 Settembre, nel tentativo di risolvere questo shock nazionale. Dal criminale psicotico che era nei fumetti e nel Batman del 1989 diretto da Tim Burton, ne Il cavaliere oscuro il Joker si trasforma in un attentatore su larga scala: l’evoluzione dei personaggi più classici, di decennio in decennio, segnano e rispecchiano sempre dei cambiamenti storici, che vanno ben al di là delle vignette di un comic book o dei fotogrammi di un film.
Letti in questa chiave se vogliamo antropologica, i film dei supereroi rappresentano una affascinante cartina tornasole della condizione psico-sociologia degli Stati Uniti al momento della loro realizzazione. L’importanza che ha avuto per le comunità nere americane un film come Black Panther, che per la prima volta vedeva protagonista un supereroe di colore impersonato dal compianto Chadwick Boseman, è particolarmente significativa, da questo punto di vista. Non è avventato dire che, simbolicamente parlando, l’arrivo nelle sale di Black Panther il momento di maggiore entusiasmo collettivo della comunità nera dai tempi dell’elezione di Obama presidente: tanto più che Black Panther è uscito a febbraio 2018, in piena presidenza Trump, in un’America sempre più divisa dalle inquietudini razziali. La rappresentazione della doppia crisi che l’immaginario regno del Wakanda deve affrontare – da un lato, una crisi di successione interna tutto sommato classica, con due cugini che si contendono il trono; dall’altro lato, la problematica morale sull’opportunità di rivelare al mondo intero le straordinarie risorse del paese a livello di minerali e di tecnologie, tenute nascoste all’Occidente per non cadere vittime del colonialismo – ha creato una risposta emotiva nella popolazione afrodiscendente degli States che ha superato le più rosee aspettative delle case di produzione. Ma forse proprio in questo successo, e nel successo che, generalmente, riscuotono tutti i film di supereroi, si potrebbero riconoscere alcuni elementi significativi per una problematizzazione archetipica. (Ludovico Cantisani)