Ciao e benvenutə, questo è il secondo episodio di Fushigi no Manga. Prima di muovere oltre e andare a scavare tra gli scaffali del vecchiume davvero impolverato, mi si permetta di indugiare su uno dei mangaka più importanti, forse il più importante, da qualche anno a questa parte. Lo facciamo però prendendolo dal suo fumetto più controverso (almeno ai tempi dell’uscita, ora le acque si sono un poco calmate). Non certo la sua storia più bella, e nemmeno quella più rappresentativa, ma senza dubbio quella che meno di tutte ha ottenuto il plauso che avrebbe meritato. Partiamo dal principio, ma faccio svelto che questa storia l’ho raccontata anche troppo.
Quando Kappa Edizioni, nella collana Manga San, cominciò a pubblicare Inio Asano è stato un fulmine a ciel sereno. Sono passati tanti anni ma la sensazione la ricordo bene, e immagino – lo immagino soltanto, ai tempi di “Garo” io non c’ero – che sia stata una sensazione simile a quella provata da chi prestava attenzione alla formalizzazione del gekiga. Quel formicolio verso il nuovo, quel senso di stupore verso qualcosa profondamente diversa da ogni altra che, per dirla alla Mark Fisher, “non si conciliava al familiare nemmeno come sua negazione”.
Mi ci sarebbe voluto un sacco di tempo per capire cosa fosse, di Asano, a scavarmi così in profondità. Ne scrissi ormai più di qualche anno fa su Banana Oil. In breve, Asano operava (e in qualche misura opera ancora) una forma di ribaltamento dei canoni del manga proponendo quella che mi sembrava opportuno definire una “poetica della rinuncia”.
“What a wonderful world”, con quel suo ultimo capitolo che se l’avete letto sapete di cosa parlo, si incunea nell’editoria italiana e Kappa Edizioni pare affermare, per la prima volta ad alta voce e con un certo orgoglio, che un manga adulto che fosse però al contempo dissimile dai vari Tatsumi e Taniguchi era possibile e anzi già esisteva. Qualche tempo dopo la coronazione con “La città della luce”, tuttora un capolavoro senza tempo. Poi Manga San ha fatto la fine che ha fatto e c’è stato qualche momento di incertezza – non erano ancora i tempi in cui si poteva star sereni che i grandi maestri sarebbero stati sempre pubblicati, tutt’altro.
Interno notte, dalle pagine dei cataloghi novità Panini Comics si fa avanti. C’è speranza. Vengono annunciati ed escono, in edizioni meno pregiate ma alla fine meglio così che niente, i due volumi di “Solanin”, poi “Il campo dell’arcobaleno” (Nijigahara Holograph se volete fare i fighetti), la raccolta “La fine del mondo e prima dell’alba”, “Buonanotte”, “Punpun”. E poi, nel 2012, “La ragazza in riva al mare”. Ecco, qua volevo arrivare.

Koume è una ragazzina delle medie. Ha una cotta per un suo senpai che però la usa come macchina da pompini e poco più. Isobe è un compagno di classe di Koume, è profondamente innamorato di lei di un tipo d’amore che un po’ ti auguro di non provare mai. La ragazza lo sa, ci va a letto un po’ per ripicca verso il compagno più grande, un po’ forse per fare la figa, un po’ perché quando si è usati diventa facile pure usare. Lui sa qual è la situazione, gli sta bene lo stesso. Poco è meglio di niente. Una bugia vecchia che continuiamo a raccontarci.
È l’inizio di una relazione tossica raccontata con una brutalità devastante, amplificata dalla “normalità della cosa”. Per capirci, non è una situazione alla Punpun e Aiko Tanaka, dove il disagio e la bruttura morale sono tali da spostare la questione su un piano più profondo: Isobe e Koume sono due persone tutto sommato “normali”, qualsiasi cosa il termine voglia dire, e il loro rapporto è quotidianità più che tragedia greca. Nel primo volume della miniserie è faticoso non odiare quella ragazzina che in maniera tanto plateale abusa dei sentimenti di lui. È al contempo difficile non provare un misto di pena e tenerezza per questo ragazzino che più che innamorato è drogato di lei, che fa il gradasso per schermarsi dai propri stessi sentimenti prima di mostrare la propria vulnerabilità al primo sentore d’aver fatto il passo più lungo della gamba, che è consapevole di come lei lo usi ma crede di saper gestire la cosa prendendo solo il buono, che implora per un bacio sempre negato che non arriverà mai. È patetico. E triste.

Primo tasto scomodo della storia. C’è tanto sesso. Tanto sesso esplicito, più o meno consensuale, tra ragazzini. È una roba difficile da mandare giù, si ha fortissima la sensazione di star sbirciando qualcosa di proibito se non dalla decenza quantomeno dalla morale. Ci vuole stomaco e, oserei dire, una certa maturità per arrivare in fondo senza ridacchiare o sbavicchiare. L’aspetto straniante, in questa danza di chi usa chi, di consensualità poco meno che suggerita, di consapevolezza poco meno che suggerita, è che nelle scene di sesso c’è una bellezza, una dolcezza, inenarrabile. Una bellezza amplificata dal segno dell’autore, fattosi ormai elegante e raffinato ben oltre le già convincenti prime opere, alla quale è difficile far combaciare l’oggettiva bruttura della situazione.

I due si esplorano, usano i reciproci corpi e abusano dei reciproci sentimenti, osano, si lasciano andare senza preconcetti. C’è una genuina e brutale franchezza tanto nella loro vita sessuale quanto nella rappresentazione della stessa. E, di nuovo, è difficile da mandare giù. È una cosa bellissima, infantilmente sgraziata, estetizzata da inquadrature e un gusto raffinatissimi. Al contempo, hanno quattordici anni. Già non è poi così usuale che si riesca a parlare dell’importanza della sessualità nei rapporti interpersonali, suggerire che ci sia o ci possa essere una componente sessuale nei rapporti tra ragazzini così giovani è borderline un tabù. Tuttora non mi capacito di come una storia tanto esplicita, tanto frontale, sia riuscita ad aggirare il puritanesimo che ammorba il nostro Paese e che, mica così tanti anni prima, aveva affossato al Topolin Ediizioni. Forse un poco siamo migliorati.

Poco alla volta cominciamo a conoscere meglio Koume e Isobe. Lei non è il mostro che sembrava, assomiglia pagina dopo pagina a una ragazza che più d’ogni altra cosa ha bisogno di essere amata e di cominciare a dirsi la verità. Lui ha un passato oscuro, una famiglia assente, un fratello che si è suicidato e di cui cerca di tenere viva la memoria continuando ad aggiornare – spacciandosi per il morto – il suo blog. Ecco, il blog.
C’è una scena particolarmente toccante. Un utente si accorge che qualcosa non torna, scrive un messaggio privato per chiedere spiegazioni. Perché ti spacci per tuo fratello? Isobe risponde. “A casa parlava normalmente. Dormivamo nella stessa camera, e non abbiamo mai litigato. Eravamo come amici. Però… mio fratello maggiore si è suicidato. […] Il giorno in cui si è suicidato, il quindici settembre, era il mio compleanno. Significherà qualcosa? Ogni volta che compirò gli anni mi ricorderò della sua schiena magra. Forse mio fratello aveva cercato di chiedermi aiuto varie volte, e si sentiva frustrato perché io non recepivo i suoi messaggi. […] Scambiare commenti con altre persone era l’unico modo per comunicare con il mondo esterno. Mi dispiaceva che nessuno aggiornasse più il suo blog… perché voleva dire veder scomparire tutto ciò che era mio fratello. Inoltre non me la sentivo di portare da solo il peso dei suoi ricordi. […] Aiutami”.
Poi Isobe seleziona tutto e cancella la lunga risposta. “La spiegazione è che mi stavo annoiando”. Invio.

Asano è un gran scrittore di personaggi più che di situazioni, lo è sempre stato, è ha questa capacità di condensare la complessità della vita di queste persone in storie che durano alle volte poco più d’una manciata di pagine. Sapere scegliere i frammenti per offrire a chi legge una chiave d’ingresso nella vita di qualcun altro. Tolti Punpun e Dead Dead Demon Dededededestruction la sua produzione è fatta perlopiù da racconti brevi che anche quando hanno una foliazione più rilevante saltano da un protagonista all’altro mantenendo così la dimensione del frammento.
La ragazza in riva al mare, con i suoi 2 volumi, 20 capitoli, sta un po’ a metà e ci concede quel poco di tempo in più per conoscere i due ragazzi un po’ più a fondo. Non li incontriamo in un momento fugace, per quanto rivelatorio, ma camminiamo con loro in un pezzo di strada. Impariamo a conoscerli, ne assaggiamo la complessità e la stratificazione. Vediamo la disillusione, la solitudine, sa sfiducia, l’evolversi di una relazione che poco alla volta li chiude in una bolla, come in un’altra realtà. I tormenti di Isobe, il suo lento scivolare nel baratro, l’incapacità di Koume di essere davvero in ascolto di sé e dell’altro.

A un certo punto Isobe annuncia che gli rimane poco da vivere, che si ammazzerà a breve. Poi effettivamente scompare. E qua qualcosa comincia a cambiare, mica solo in Koume ma anche nel modo in cui il lettore e la lettrice interpretano i rapporti di forza e di dipendenza tra i due giovani protagonisti. La ragazza si scopre preoccupata, forse ha mosso il primo passo verso l’accettazione che sì, non è che stessero scopando e basta. Era una scusa, quella. E allora arriva il ribaltamento totale, un capitolo finale che è una mazzata e che è il motivo per cui La ragazza in riva al mare è forse non il più bel fumetto di Asano ma di certo il più duro. Quasi il più crudele. Spoilers ahead sul finale, in caso sia un tasto dolente saltate pure il prossimo paragrafo.
Isobe a un certo punto ricompare. È cambiato. Sorride. Sembra uscito dall’ossessione per Koume che però, nel frattempo, ha smesso di raccontarsela. “È da tanto che volevo dirti che sono innamorata di te. Ma quando me ne sono resa conto non sapevo più che fare. Il nostro rapporto è diventato quello che è. E tu mi odi. E so che è tutta colpa mia. Però… io ti amo e vorrei stare con te per sempre. Cambierò. Diventerò una persona buona e gentile. Perciò, possiamo stare insieme? Potresti almeno baciarmi per l’ultima volta?”.

È a questo punto che La ragazza in riva al mare si rivela per quello che è. Mica solo la narrazione di una relazione tossica, di un rapporto sbagliato che fa male a chi lo subisce. Ma anche una storia di rimpianto. Della realizzazione di aver scazzato troppo a fondo e troppo a lungo, di aver rovinato in maniera irreparabile un rapporto che quando ci si accorge che era importante è ormai troppo tardi. Non c’è più modo di rimediare. E se all’inizio si provava un certo fastidio per Koume e una certa pena per Isobe, ora è tutto per aria. Vittima e carnefice si confondono, amore e odio si toccano, volontà di benessere e di sofferenza per sé e per l’altro si compenetrano. Nessuno era veramente cattivo. Solo molto confuso. Ed è impossibile non volerle bene a questa ragazzina che, per la prima volta nella sua breve vita di carta, esperisce il peggior sentimento di perdita: quello colpevole. (Matteo Gaspari)