
Miguel Angel Valdivia: Quando Berlusconi entra nella scena politica inizia un momento che io ricordo come molto “violento”. C’era un’atmosfera di prevaricazione e brutalità mista a una spettacolarizzazione della volgarità davvero nauseabonda. Forse c’era anche prima, sicuramente è rimasta dopo. Io vedo quel particolare momento come l’origine di questa raccolta di racconti.
Francesco Cattani: È assolutamente così, mi avevano chiesto di fare una satira politica di quello che accadeva in quel momento, era da un po’ di anni che c’era Berlusconi e quindi era da un po’ che stavamo somatizzando quella condizione, quindi probabilmente è stato proprio qualcosa di catartico. Ho ricreato delle sensazioni che avevo avuto attraverso le azioni di questi mostri…
MAV: Che poi a me non è venuto di chiamarli mostri in realtà. Più delle specie di divinità, però chiaramente quando immagini le divinità pensi a qualcosa che va verso l’alto, no? Qua mi davano più l’impressione di esseri primordiali…
FC: L’idea era che la loro divinità era l’essere primordiali. A differenza di Bilal, che tutti abbiamo letto a suo tempo, la loro divinità era l’essere profondamente naturali, feroci, istintivi, guidati dalle necessità primarie… Questi animali erano “sinceramente” istintivi, senza mai fingere di essere delle persone buone.
MAV: E mi hai detto che queste storie nascevano come delle vignette di satira…
FC: Si, erano uscite sul MALE, come satira, uscivano a puntate.
MAV: Ho l’impressione che questi racconti siano stati quasi vomitati più che ragionati o pensati; spinti fuori da un bisogno urgente…
FC: È così, era anche un periodo della mia vita in cui ero molto investito dagli eventi, ero abbastanza incazzato, quindi, insomma, viene fuori un po’ questa cosa…
MAV: Si sente. Pur non avendo una serie di elementi per contestualizzarli, li ho sentiti così. A questo proposito, nell’ultimo racconto ho intravisto una specie di speranza. Un muro viene distrutto dopo un combattimento epico. Non mi piace parlare di ottimismo o pessimismo, però succede qualcosa che possiamo chiamare “speranza”, oppure ho visto male io?
FC: Il punto di questo libro è che è tutto molto feroce. Questo racconto l’ho fatto in un altro momento della mia vita, ma non è che sia cambiato il mio punto di vista, non è che io sia andato verso l’happy ending. Ma non perché io debba sempre raccontare cose con un finale distruttivo. Io seguo le situazioni, non seguo un plot narrativo in cui l’eroe deve fare questo o quest’altro. Inizialmente metto in una scena dei personaggi e li piazzo in una condizione che sento nella pancia, poi loro si comportano di conseguenza. È una specie di catena di eventi che si mette in moto da sola, seguendo i personaggi e le loro necessità. In questo caso, era nell’indole del personaggio di subire una trasformazione, come se facesse un frontale contro sé stesso, per narcisismo, egoismo. Qualcosa di molto legato alla vita dei giovani di adesso. Infatti all’inizio questo racconto era tutto incentrato sui social network, poi ha preso un’altra direzione, perché, appunto, ho seguito la natura di quel racconto e gli ho lasciato spazio per trasformarsi; però probabilmente quello che mi pressava è rimasto, e cioè la condizione dei ragazzi dalla nostra generazione in poi. La cosa interessante è che se c’è speranza è creata dal diavolo. Il personaggio, come altri animali precedenti, tira fuori la sua forza fino allo spasmo finale, anche nella comune accezione negativa di quello che può essere un diavolo. Però alla fine dà comunque una soluzione. Questo personaggio negativo e furioso alla fine apre una breccia per gli altri.
MAV: Apre una breccia, sì. Però, a pensarci bene, questa breccia non per forza porta in un luogo migliore. È vero che si rompe un muro e le persone possono finalmente passare dall’altra parte ma non è detto che dall’altra parte sia meglio o che non ci siano poi altri muri. Una sensazione di claustrofobia.
FC: Intendi come se il muro non avesse nessuna proprietà e nessuno scopo, come se non dividesse veramente due mondi differenti?
MAV: Sì, come in quei racconti in cui alla fine pensi di essere finalmente libero e ti rendi conto che in realtà sei ancora prigioniero…
FC: Sì, tra l’altro i personaggi da questa parte del muro vivevano in una specie di prigione di cristallo, protetti da tutti i problemi che c’erano in questa ipotetica società. E ci sono dei personaggi che vengono dall’altra parte: i poveri. Però io non mi sono posto il problema di raccontare per forza le cose nel modo più originale possibile. Certi cliché sono inevitabili ed evitandoli non per forza fai un racconto interessante.
MAV: Si, sono comunque strumenti che facilitano la connessione con l’altro.
FC: Usi una grammatica che è già conosciuta per poi aprire nuove possibilità narrative.
MAV: O servono anche per portare il lettore in una direzione conosciuta, per poi strattonarlo e virare da un’altra parte.
FC: In questo momento in cui c’è tantissima fiction salta all’occhio che viene ricalcato sempre lo stesso schema, come se ogni storia fosse uguale all’altra. Queste fiction di adesso, che siano nello spazio, che siano all’inferno o in un ufficio seguono e ricalcano alla lettera il viaggio dell’eroe… È diventata una gabbia. È veramente facile trovarsi a vedere una fiction o leggere una storia anticipando le mosse dei personaggi.
MAV: Anche io ho questa sensazione… Ma torniamo a noi. Nei libri si tende verso quello che più sentiamo vicino a noi. A me è stato detto spesso, quando disegnavo, che i miei disegni erano violenti. Questa cosa mi ha sempre scocciato perché non li ho mai trovati veramente violenti. Mi dicevo: ma ci sono tante cose intorno a me che io sento molto più violente…
FC: Ma infatti, se tu ci pensi c’è anche molta violenza in queste famose fiction di cui abbiamo parlato prima. Anche cruda e splatter a volte. Quello che rende tutto digeribile è l’aderire completamente al viaggio dell’eroe creando personaggi in cui ci si possa identificare perché sono patetici o perché sono miseramente umani e limitati come tutti noi. Per me era importante non avere questo tipo di identificazione empatica. Rimane allora una violenza che sembra indigesta ma che in realtà è molto più sincera. È semplice ferocia. Il fatto che questi personaggi animali siano antropomorfi crea quel fastidio che io trovo molto interessante. Racconti una storia senza caricarla di morale.
MAV: Infatti io non trovo il tuo libro violento, ma immagino che molte persone potranno recepirlo come tale.
FC: Magari in un contesto commerciale non sarà facile. Per quel che riguarda l’ultimo racconto, la vera violenza è una violenza che il personaggio ha già subito dalla società. Una specie di narcisismo forzato. Oggi se tu non sei narcisista non sei “vincente” o “interessante”. Ci sono poi anche persone che creano un legame con gli altri attraverso il dolore o la sensazione di inadeguatezza. Però in generale c’è questo splendore della personalità, del corpo che devi mostrare sui social network. E questa è una vera violenza sulla persona. Quindi il personaggio dell’ultimo racconto è un personaggio del futuro, già impazzito per via di questa violenza inconsapevole subita. Questa era l’idea iniziale. Poi io tendo man mano a cancellare tutte le tracce… (miguel angel valdivia)